Out Of The Box | Francesco Del Re

Francesco Del Re vive e lavora a Palermo, e viene il sospetto che non sia solo suggestione il fatto che nelle sue illustrazioni sembra di ritrovare la luce accecante dell’agosto in Sicilia. Il suo stile mescola un approccio materico al disegno – forte di una lunga esperienza di urban sketching – a strumenti digitali, con un segno dinamico e figure in cui l’esagerazione è al servizio dell’espressività emotiva e del movimento. Ha allenato la sua capacità di trasmettere trasporto emotivo dalle emozioni più grezze alle più sfumate ritraendo i musicisti nei festival più prestigiosi d’Europa.

Insieme abbiamo parlato di concerti della vita, dinosauri e dove trovare le risorse dentro di sé per portare a termine un progetto di lungo corso quando il committente sei tu.

Parlando dell’urban sketching hai detto che essere in grado di lavorare per strada- per così dire alla mercé dei passanti – è utile per rimuovere i blocchi mentali che si manifestano al tavolo da disegno: in che modo la tua attività di sketcher ti ha aiutato a formarti come illustratore?

La questione passanti è un po’ una terapia d’urto: la gente si incuriosisce sempre nel vedere qualcuno che disegna per strada. A furia di ricevere tutte queste attenzioni si diventa più resistenti al giudizio altrui, e alla
fine anche quell’eccessiva severità nel giudicare sé stessi, che spesso agisce come un vero e proprio blocco, si ammorbidisce, permettendoci di fare in santa pace i nostri primi, necessarissimi, strafalcioni.
Durante i miei primi anni di approccio all’illustrazione spesso viaggiavo in solitaria, con l’idea di disegnare il più possibile. A rivedere, qualche tempo dopo, gli sketch tutti assieme, si vedere chiaramente un gradino, un piccolo miglioramento, che avviene sistematicamente ad ogni viaggio. Questo mi ha dato la chiara percezione di quanto l’urban sketching sia stato importante nella mia formazione.

Hai un rapporto di lunga data con l’illustrazione dedicata alla musica, sei stato anche uno degli sketcher ufficiali del Primavera Sound. Quest’anno vivremo un’estate anomala, con pochi concerti e senza i festival che scandivano la stagione: se potessi scegliere un evento musicale di qualunque epoca e qualunque genere a cui assistere come sketcher, quale sarebbe il tuo fantaconcerto della vita e perché?

Sono stato uno degli sketcher al Primavera, quell’anno eravamo un team
di una dozzina di persone, per coprire tutta la programmazione del festival ci vogliono un bel po’ di braccia!
Ti direi Massey Hall di Toronto, 15 maggio 1953.
Di scena ci sono dei mostri sacri del jazz, per la prima e ultima volta riuniti tutti assieme, formando il cosiddetto The Quintet: Charlie Parker al sax, Dizzy Gillespie alla tromba, Bud Powell al piano, Charles Mingus al contrabbasso e Max Roach alla batteria.
Leggenda vuole che l’atmosfera fosse pessima, il palazzetto era mezzo vuoto per la concomitanza con un importante evento sportivo, almeno in due del quintetto erano sbronzi marci, e Parker suonava con un sax di plastica comprato poche ore prima, avendo dato il suo Selmer in pegno per potersi comprare l’eroina.
Forse proprio mossi da questo spirito da nulla da perdere, i cinque tirarono fuori un concerto da restare negli annali, fortunatamente giunto fino a noi, avendo Mingus deciso di registrare la serata per produrne un disco.
Io non sono un intenditore del genere, ma disegnare i jazzisti mi diverte particolarmente. Prima di tutto stanno fermi, non devi impazzire a inseguirli con la matita. E poi le mani che suonano gli ottoni, e gli
strumenti stessi, tutti tasti, pistoni e grovigli di tubi, sono cose che si prestano molto ad essere ritratte col mio stile grafico. La musica ti trascina via, e ti ritrovi a disegnare come in un sogno.

Sei molto attivo nell’illustrazione editoriale, ma uno dei tuoi lavori che ha riscosso più attenzione ultimamente è il poster dedicato ai pesci del Mediterraneo. Come lavori per costruire queste “librerie di caratteri”, in cui le fattezze reali del soggetto che vuoi rappresentare si mescola al tuo stile di sintesi?

Credo che il disegno sia prima di tutto visione e analisi, bisogna capire la struttura del soggetto, la motivazione che ha portato il suo ideatore (uomo o natura che sia) a scegliere una determinata forma in relazione al suo scopo. In questo modo si possono immagazzinare informazioni a cui di volta in volta attingere, così da rendere il disegno credibile.
A questo punto entra in gioco la sintesi: dalla struttura completa si cominciano a togliere pezzi e si vede fino a quando il castello di carte sta su. È proprio nel cercare un modo creativo di tenere in piedi il castello, che ci si imbatte nel proprio stile.

Cosa metteresti in una capsula del tempo?

Un bel poster sui dinosauri: sicuramente le scoperte del futuro gli daranno sembianze molto diverse da quelle che immaginiamo oggi, sarà divertente per la gente di allora farsi due risate con le nostre papere. (Questo è un piccolo spoiler).

Se potessi incorniciare un momento dell’ultimo anno di cui sei particolarmente fiero, quale sarebbe?

Direi la realizzazione del poster dei pesci del Mediterraneo.
A volte in questo lavoro sembra che tutti si siano dimenticati di te. Nessuna mail, nessuna commissione per mesi. È proprio in momenti del genere che bisogna focalizzarsi sul cercare una propria strada. In cucina a casa avevo una parete vuota, che volevo riempire con un bel poster zoologico. Mi sono subito indirizzato verso la fauna ittica dei nostri mari, ma non ho trovato nulla di rilevante online. Così sono detto “ok, ho trovato una nicchia inesplorata, da adesso faccio un pesce al giorno, tutti i giorni, e poi vediamo che salta fuori
Trovare la forza di tenere fede a questo proposito non è stato semplice, non lo è mai, quando non hai un vero e proprio lavoro che qualcuno ti sta chiedendo di terminare, ma alla fine il poster è stato un successo,
ed è stato la leva che mi ha permesso di risollevarmi.

Un libro, un disco o un fumetto che hai comprato a scatola chiusa?

Italo di Vincenzo Filosa.

Il gatto di Schrödinger è vivo o morto?

Anche a voler essere ottimisti ormai son quasi cent’anni che sta in una scatola…

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