Out Of The Box | Diana Ejaita

Due copertine per il New Yorker e un’illustrazione per il pezzo di Kiese Laymon nel numero speciale di Vanity Fair curato da Ta-Nehisi Coates: per Diana Ejaita, illustratrice e designer italo-nigeriana, il lavoro in questi ultimi mesi è stato fonte di grandi soddisfazioni e riconoscimenti internazionali, testimonianza di una ricerca visiva personalissima e di forte originalità. Nata nel 1985 a Cremona, Diana si divide tra Berlino, Lagos e Milano, in un percorso artistico cosmopolita e aperto agli stimoli più diversi tra illustrazione e surface design. Abbiamo parlato della segretaria del gatto di Schrödinger, festival musicali che hanno segnato un’epoca e molto altro.

Tra il tuo lavoro di textile designer e quello di illustratrice sembrano esserci delle contaminazioni virtuose di motivi, stile grafico, approccio all’immagine: cosa ti porti del textile design nell’illustrazione, e viceversa?

Credo che un denominatore comune sia l’utilizzo del colore nero. Inizialmente ero molto interessata al contrasto nero e bianco sia per le stampe dei tessuti che per i lavori serigrafici più astratti, poi crescendo con l’illustrazione é successo un boom inaspettato con i colori.

Sinceramente in passato ho sempre schivato il colore, trovando difficoltoso arrivare a un approccio soddisfacente. Forse i lavori di illustrazione che in qualche modo sono sono legati a testi o articoli  scritti da altri mi hanno aiutata a “rilassarmi” rispetto al limite auto imposto sull’uso del colore. In realtá il mondo del textile design, arte e illustrazione sono tre mondi che tendo a voler mantenere separati nonostante mi renda conto che siano strettamente collegati, grazie al mio vissuto e alla mia esperienza e visuale delle cose. Nonostante non abbia una formazione da grafica o designer amo l’effetto ” grafico” se così posso chiamarlo, le linee pulite e semplici. Ma sicuramente l’utilizzo del colore nero, che funziona sia come sfondo che come elemento di primo piano, è il mio punto di partenza: mi piace giocare in questo senso.. 

Nei tuoi progetti attingi da diversi aspetti della tua formazione artistica, personale e familiare, attraverso un lavoro di ricerca potremmo dire quasi antropologica. In che modo li unisci nel tuo lavoro perché comunichino idee, valori e tradizioni e non siano solo un repertorio di immagini e motivi?

Forse mi interessa l’idea di connettere, credo che sia importante osservare e curiosare un po’ in tutti gli ambiti, musicale, letterario, le storie delle persone, dei paesi.. Credo sia importante estendere i propri interessi a diverse fonti di attrazione per – come dire? – avere una visuale un po’ più ampia sulle cose, e credo che sia un approccio che dovremmo avere tutti al di là delle nostre occupazioni e delle nostra idee.

In un’intervista di qualche anno fa parlavi del modo in cui si è evoluta la rappresentazione delle comunità afro-italiane e dei segnali importanti di fermento artistico tra le seconde generazioni. Ci segnali qualche nome il cui lavoro non dovremmo veramente perderci tra gli artisti visuali?

[In pieno spirito do your best e link to the rest la risposta di Diana a questa domanda sono tre eccellenti articoli di i-D Magazine, Document e l’approfondimento di Globalist curato da Igiaba Scego sulle scrittrici afroitaliane, che consigliamo in pieno!]

Cosa metteresti in una capsula del tempo?

Capsula del tempo per le generazioni future? Un walkman con una vecchia cassetta, in pausa a “One Love” dell’album “Legend “di Bob Marley and the Wailers. Forse è una risposta banale ma Bob e le idee che incarna non devono morire mai.

Se potessi incorniciare un momento dell’ultimo anno di cui sei particolarmente fiera, quale sarebbe?

Sicuramente quest’anno é stato pazzesco e bellissimo per tanti progetti, ma forse il massimo é successo qualche giorno fa quando l’editor di  uno dei miei scrittori Nigerian-British preferito, di cui lessi i primi libri sui vent’anni e che porto sempre nel cuore, mi ha contattata chiedendomi se fossi interessata a collaborare illustrando il suo ultimo scritto. Credo di aver gridato di gioia.. Beh in effetti ci sono stati parecchie grida di gioia personale in questo 2020: la seconda e terza cover ( MLK Day and Father’s Day) per il New Yorker… ad esempio… so’ soddisfazioni!

Un libro, un disco o un fumetto che hai comprato a scatola chiusa?

Forse non è stato a scatola chiusa perché prometteva bene ma non sapevo QUANTO sarebbe stato ricco, bello e interessante: il volume che ho comprato un paio di settimane fa: Festac ´77 second world and African festival of Arts and Cultures. Una raccolta di articoli, foto, arte dell’omonimo evento che si tenne a Lagos nel 77. Ecco, se esistesse una capsula gigante del tempo per conservare un intero festival forse ci metterei proprio questo!


Il il gatto di Schrödinger è vivo o morto?

La sua segretaria mi ha messa in linea d’attesa da anni… Aucune idée…

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