STRANGE RAGE, rabbia giovane per le strade di Manchester. Intervista all’autrice Giorgia Kelley.

La graphic novel di debutto dell’illustratrice perugina è un tuffo nelle ansie di una generazione che si affaccia con affanno al mondo degli adulti .

Ognuno di noi conoscerà qualcuno che a un certo punto della sua vita si è fermato e ha sussurrato queste parole: “parto! Ho prenotato un volo per destinazione x, vedo come va”. E se molti non si prendevano veramente sul serio, riposando nel cassetto il sogno di cercare “fortuna” altrove, altri al contrario erano molto (abbastanza) sicuri di compiere quel grande passo. Staccarsi dalle proprie origini non è facile, lasciarsi-dietro-tutto forse lo è un po’ di più, ma l’entusiasmo della nuova esperienza viene spesso mitigato da ansie di vario tipo: da quella legata alla solitudine a quella prettamente esistenziale fino a quelle più pratiche (lavorative, logistiche e burocratiche). 

Strange Rage (Rizzoli Lizard), il fumetto di debutto dell’illustratrice perugina Giorgia Kelley, è proprio un condensato di tutte queste incertezze. Ambientato in una notturna Manchester vede due ragazze, Gloria e Anna, fare conoscenza con Leo con il quale condividono la loro “fuga” dall’Italia alla ricerca di un qualcosa non ben definito. Nel giro di una notte i tre percorrono le vie della città inglese e tra dialoghi fumosi, pensieri intermittenti e  lunghi silenzi l’illustratrice di origini americane lascia al lettore il compito di riempire con l’immaginazione quelle che sono le speranze, le ambizioni e le paure dei tre ragazzi.

Strange Rage ci restituisce così una cartolina dello spaccato esistenziale di una generazione, quella dei giovani che si affacciano al mondo degli adulti, che tra precarietà, evasione e voglia di farcela sono costantemente alla ricerca di un equilibrio difficile, ma non impossibile, da trovare.

Ciao Giorgia, parlaci un po’ di te! Possiamo dire che sei un’illustratrice atipica?

Ciao! Allora, non so se sono atipica io, ma forse lo è stato il mio percorso. A casa i fumetti girano da sempre e già da piccola sfogliavo i vari Frigidaire, Corto Maltese dei miei. Disegnavo anche, ma da adolescente mi sono data ad altro e non ho ripreso seriamente fino ai 24-25 anni. Per un secondo ho pensato di voler fare la tatuatrice, poi l’illustratrice, poi non ci ho più pensato, ma ho continuato a disegnare. Mi piace anche scrivere e unire le due attività è stato intuitivo.

Perché la scelta di non condividere, o condividere pochissimo, i tuoi lavori sui profili social?

Ho sempre caricato qualche disegno su Instagram, ma il mio lavoro era un altro e in più ero a Manchester da poco e totalmente presa dalla mia nuova vita, quindi non postavo con particolare ambizione o costanza. È strano parlarne ora come se tutto fosse stato deciso a tavolino, perché in quel momento neanche ci pensavo troppo. Diverse persone negli anni mi hanno suggerito tattiche per incrementare likes e followers, ma non sono dinamiche che mi interessano. Il marketing lo lascio ai commercianti. Ogni tanto postavo i miei disegni e vignette su Instagram e questo mi ha dato modo di fare flier e merch per diversi eventi e band, poi ho realizzato delle strisce per Stai Zitta Mag, ogni tanto ho fatto illustrazioni su commissione e finalmente mi ha contattato Rizzoli Lizard.

Ci racconti quando e come è nato Strange Rage?

Disegno i personaggi da anni, anche da prima che andassi a vivere a Manchester. Le due ragazze non esistono l’una senza l’altra e ho sempre usato loro per raffigurare momenti di amicizia femminile vissuti e immaginati, ma anche per tirar fuori i miei pensieri da ventenne irrequieta. Ho aggiunto Leo per destabilizzare una dinamica che altrimenti sarebbe rimasta immutata.

Quando sono finita a Manchester quello è diventato lo sfondo per le loro vicende. Già unire un personaggio con un luogo è uno spunto utile per iniziare a tirar fuori una storia. Chi sono queste persone? Perché sono qui? Stanno bene? Non tanto? Perché? E così via.

Mi è andata benissimo che Manchester non è una città banale. Ha una storia e un patrimonio culturale che hanno riverberato in tutto il mondo. Si presta bene.

I tre protagonisti sono accomunati dalla condizione di expat, ma appaiono comunque infelici e malinconici come a voler dimostrare che andarsene, abbandonare tutto non è la soluzione… è così o c’è dell’altro? 

Io sono per metà statunitense e nel mio immaginario personale è molto presente la figura dell’individuo che parte in cerca di una nuova e migliore esistenza. L’ho fatto anch’io. Però le cose non vanno necessariamente così.

Finché sei giovanissimo puoi andare incontro alla precarietà con una certa attitudine, quasi fiero, ma con il tempo questo stile di vita da gig-economy logora. Specialmente se sei cresciuto nell’ottimismo ingenuo degli anni 90. Inizi a domandarti quanto margine decisionale hai tu e quanto le cose siano già state scelte per te. I miei personaggi, Gloria in primis, forse stanno realizzando questo.

Però secondo me non è solo quello. Gloria è ingenua e non vuole concedersi del tutto a una vita adulta. Neanche conosce bene il mondo degli adulti e ne è intimidita. Però inizia a non essere più una ragazzina e a rendersene conto.

Non so quanto di questo sia evidente nelle pagine di Strange Rage, ma sono i pensieri che facevo mentre lo realizzavo.

Il fumetto è ambientato in una Manchester notturna e si sviluppa nell’arco di una sola notte. Cosa ha rappresentato Manchester per te da un punto di vista artistico e personale?

A Manchester sono diventata me stessa. È molto più grande della mia città d’origine (Perugia), c’è molta più gente e tanto più fermento. Invece del vacuo snobbismo urbano che ti potresti aspettare, è una città fatta di gente attenta che vuole investire nella cultura locale. Ne va del prestigio della città. Essendo una ragazza di indole un po’ timida, per me essere ignorata è la normalità. A Manchester invece ho trovato persone che vogliono vedere cosa hai da offrire. E se gli piaci ti tirano in mezzo. Non è una questione di saperci fare. Nella mia esperienza gli inglesi, ma in particolar modo i mancuniani, si sono rivelati estremamente schietti. Nulla è sacro, non pensano “il rispetto prima di tutto,” e non esitano a metterti al tuo posto. Le dimostrazioni di ego sono apprezzabili, no anzi sono celebrate, se però dietro c’è del talento che regge. Guarda Morrissey, Liam Gallagher, Mark Smith. Trovo esilarante questa mentalità.

Perché hai deciso di sviluppare la storia in un arco temporale così “ristretto”? Pensi possa esserci uno sviluppo della storia in futuro?

Strange Rage è il mio primo fumetto e nello scrivere e disegnarlo ho imparato a fare fumetti. Ho cercato di non strafare per non farmi sfuggire di mano il progetto. È forse una questione di ordine mentale?

In più penso che condensare il racconto in poche ore sia un modo utile per focalizzarsi su delle emozioni difficili da catturare se diluite nel tempo. Non sto raccontando un evento particolarmente drammatico, ma cerco di descrivere delle sensazioni. La quotidianità è fatta di tanto, per fortuna non stai tutto il giorno a rimuginare sulla tua esistenza. Magari una sera che ti ritrovi a piedi sì, invece.

Già dal titolo si percepisce una certa ispirazione emo-punk che si riflette anche nel tuo stile… qual è il tuo immaginario di riferimento?

Sicuramente le tendenze punk ce l’ho, dato che per anni ho seguito quella scena che mi ha portato a coltivare una certa estetica grunge. Il titolo del libro è tratto da una canzone delle Nots, punk-band di Memphis. Non so se suonano ancora, ma spero di sì.

Mi viene in mente anche il film Slackers di Richard Linklater, una storia non storia, girata per Austin nella quale ci si sofferma su questa e quell’altra situazione per qualche minuto prima di passare oltre.

Ultima domanda prima di salutarci: il tuo libro, film e disco della vita?

Della vita non so, ma ora come ora… Traverls wit My Aunt scritto da Graham Greene, Ghost in the Shell e l’album di debutto di Lana del Rey intitolato Lana del Rey AKA Lizzy Grand e che si trova solo su Youtube.

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