Le ombre si stanno ribellando, parola di Alessandro Baronciani

La prima intervista dark del fumettista pesarese

La Bao Publishing ha da poco pubblicato Negativa, il nuovo romanzo a fumetti di Alessandro Baronciani. Dimenticate quella malinconica grammatica della quotidianità fatta di amori fragili, piccoli dettagli, incomprensioni e storie comuni alla quale il fumettista pesarese ci aveva abituati con i suoi libri precedenti. Qui è la paura a prendere il sopravvento e a caratterizzare questa storia horror. A restare identiche al passato sono quelle bellissime ragazze che nessuno come Baronciani riesce a disegnare così riconoscibili e pop. Ma anche loro stavolta hanno qualcosa di diverso e iniziano a ribellarsi, proprio come le ombre delle immagini.

La protagonista è Stella, una modella super fotografata. Un giorno all’improvviso iniziano a morire in rapida successione persone a lei care. Un mistero che si infittisce di tavola in tavola, in un crescendo ansiogeno che si fa tagliente – letteralmente – grazie agli inserti di cartotecnica messi qua e là nel libro. Baronciani riflette su quello che è diventata la fotografia nell’era digitale e lo fa spaventandoci a morte con un romanzo grafico dai toni mai così scuri.

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Sei sempre stato un po’ dark (nella tua musica, soprattutto – Alessandro canta e suona con Altro e Tante Anna). Ma nei tuoi libri a fumetti quella parte “nera” era sempre come attenuata e tenuta a bada (ci verrebbe da dire col senno di poi, dopo aver letto Negativa) dal tuo esistenzialismo/romanticismo pop, tingendosi più di malinconia che di paura. Come mai questa svolta horror?

Mi piace camminare in campagna soprattutto in autunno, spesso mi trovo in questi paesaggi desolanti e malinconici, quando improvvisamente lo sparo di un fucile interrompe il silenzio. Pensi a tante cose contemporaneamente: dove è il cacciatore, quanto è vicino, se ti ha visto o se stesse sparando per sbaglio alla preda nella stessa direzione dove sei tu. È questo il momento in cui dalla malinconia passi alla paura. Non sai dove andare, non sai quale direzione prendere perché non vedi il cacciatore e senti soltanto gli spari e pensi: non sono più al sicuro, non lo sarò mai più. Mi viene in mente una scena in un libro di Gipi dove viene bloccato in auto e una persona lo minaccia mentre è ancora rinchiuso dentro. Penso anche a Bowie quando cantava: “I’m afraid of americans”, il video con Reznor… però sto andando fuori strada. E comunque mi sento più romanticista pop che esistenzialista. Con la seconda mi viene in mente il fastidioso maglioncino col collo alto, con la prima il fantastico orecchino tra i capelli ossigenati di Simone Le Bon.

Come è nata la storia? Non essendoti mai rapportato in passato a una sceneggiatura thriller quali difficoltà hai trovato?

Tantissime. È stato molto difficile. Ho cambiato spesso la sceneggiatura perché quello che – strada facendo – stavo disegnando si discostava tantissimo dal progetto iniziale. Il ritmo l’avevo chiaro in testa ed è stata Caterina (Marietti, fondatrice della Bao, ndr) a seguirmi passo dopo passo nella divisione delle scene. E poi, grazie a Lorenzo Bolzoni (senior designer della Bao, ndr) e al tipografo – che mi hanno dato in mano il timone -, sapevo dove far cadere esattamente gli effetti cartotecnici e gli attimi di paura. Così ho semplificato la parte tecnica e allontanato in fase di stampa le brutte sorprese. Questo strutturare la storia in sedicesimi ha dato al libro un bel ritmo che in una narrazione horror si trasforma in ansia crescente.

A chi ti sei ispirato per scrivere e disegnare Negativa? Dylan Dog è un chiaro riferimento, ma, appena ho letto il libro, il primo nome che mi è venuto in mente è stato quello di Dario Argento. C’ho preso? Ho trovato le inquadrature molto cinematografiche.

Michele (Foschini, l’altro fondatore della Bao, ndr) mi ha scritto – e per me è stato un grandissimo complimento – che Negativa sembrava Valentina di Crepax su sceneggiatura di Argento. Io sono un fan di Dario Argento anche se non sono mai riuscito ad andare oltre la scena del pupazzo col coltello che esce dall’armadio in Profondo Rosso. Per anni ho pensato fosse lui l’assassino! Dylan Dog è stato il primo fumetto che ho letto con l’idea di essere diventato “grande”. Ricordo ancora le pubblicità teaser nei retro copertina di Zagor che comprava mio fratello e ricordo ancora che riportai il numero uno in edicola perché mi aveva spaventato troppo. Avevo, penso, 12 anni. Quel numero, la storia, i disegni, il taglio delle inquadrature mi aveva fatto pensare a qualcosa che nei miei Asterix non c’era. E che forse in Zagor avevo trovato soltanto nelle storie di Hellingen, quelle dove la paura viene da un altro pianeta, “alieni western” – storie che scoprii soltanto anni dopo essere scritte da Sclavi – cioè quella paura inaspettata che non credevo di poter trovare in un fumetto di Zagor. Qualcosa che sta per succedere e che non ti aspettavi di trovare e dalla quale non sai come fuggire. Mi viene in mente una canzone di un gruppo incredibile della Dischord primi anni duemila: El Guapo. Cantavano: “Just don’t know, which way to run away”. Stai facendo qualcosa di poco importante, guardando la tele, leggendo un giornale e improvvisamente devi scappare e non sai dove. La cantavano in America e la cantavano dopo che improvvisamente due aerei dal nulla si erano schiantati su due grattacieli.

Non sono mai riuscito ad andare oltre la scena del pupazzo col coltello che esce dall’armadio in Profondo Rosso.

La fotografia è la vera protagonista del libro. Negativa ruota tutto intorno all’immagine. Scatti, riflettori, ma tanto tantissimo smartphone… Non a caso sul retro della copertina variant troviamo Stella con il cellulare puntato verso il lettore-specchio in procinto di farsi un selfie e la sua ombra che si discosta da lei. Come la vivi da questo punto divista l’era digitale in cui siamo immersi?

Negativa è nata esattamente da questa riflessione e questa idea l’ho portata avanti nella testa come se fosse il capitolo in cui un supereroe racconta le proprie origini. Ragionavo su cosa è diventata oggi la fotografia e di quanto fosse impossibile capire cosa è vero e cosa è falso guardando un’immagine. E poi mi sono venute in mente tutte le grandi foto dei reporter di guerra e come oggi tutto viene ribaltato e contraddetto facendoci capire che una foto è vera e falsa contemporaneamente, bianca e nera, giusta e sbagliata. Alle foto manca il negativo, la parte falsa di una foto che veniva rinchiusa in una pellicola. Prima del digitale questo era il modo per determinare cosa era vero, giusto, buono. Oggi non riusciamo più: tutto è sullo stesso piano e le ombre si stanno ribellando. Stella è una fotomodella che è stata fotografata così tante volte da non avere più un’ombra, un negativo. È solo la parte positiva, buona, quella che vediamo. Vogliamo vedere il bene e non sappiamo più che fine ha fatto il male.

 

Mi è piaciuta molto la suddivisione frammentata delle vignette (a mo’ di vetro rotto). Dà un ritmo serrato, tagliente e obliquo alla storia. Una sorta di batteria in controtempo che nei momenti topici del libro deraglia creando il perfetto climax ansiogeno che più si confà alla lettura. Ecco, più che la storia in sé, il valore aggiunto del libro è proprio la sua struttura: dal design a quel grigio predominante, al ritmo delle tavole fino a quegli inserti cartotecnici ai quali ci hai ben abituati. A volte queste sembrano cose in più, orpelli inutili… In Negativa no, sono determinanti. Come si è sviluppato il libro da questo punto di vista? Avevi già tutto in mente o è venuto fuori strada facendo?

In un certo senso viene spaccato anche il senso di lettura. Mi succede sempre quando leggo un manga alla orientale – e dato che ci sono, apro una parentesi: vorrei chiedere alle case editrici quando è possibile di stamparli alla occidentale! Vi prego, almeno nei manga per i bambini, così per non aumentargli i problemi di lettura, chiusa parentesi – da destra a sinistra, nelle prime dieci pagine faccio sempre un po’ fatica a prendere il via e ho una specie di disorientamento che spesso è piacevole. Ti altera il senso della lettura. Sbagli a leggere prima una vignetta di un’altra. Ho provato a mantenere questo strano sviluppo della doppia pagina, come avevo già fatto con La distanza (graphic novel scritto con Colapesce, Bao 2015), che si apre e che ti spinge a leggere senza un ordine. Un vetro rotto di un auto è l’occasione per spaccare le vignette nella pagina come se avesse avuto un incidente, un taglio obliquo fa cadere la pagina, uno stipite di una finestra diventa l’inquadratura nella pagina successiva. Una persona in ombra le cui gambe diventano luce che entra in un porticato nella vignetta sotto. Manifesti pubblicitari in bianco e nero, cinema con vignette come tagli sullo schermo. È importante per me creare cose nuove per raccontare le storie che ho in mente… Le Ragazze nello studio di Munari (prima edizione Blackvelvet 2010 e poi ristampato da Bao nel 2017), è nato perché volevo parlare di Bruno Munari, Come Svanire Completamente (autoproduzione 2016) perché l’idea che avevo in testa era quella di cosa succedeva ad una storia quando ti mancano delle parti… La creatività è il modo in cui si supera un ostacolo. Le idee sono ostacoli, le storie sono ostacoli. Ci sono modi per poterle raccontare. Pensa soltanto ai Concerti Disegnati (Baronciani disegna durante il live di Colapesce, ndr) nati mettendo insieme un fumetto, un’amicizia, una vacanza in Sicilia, delle ecoline e delle canzoni splendide.

La creatività è il modo in cui si supera un ostacolo. Le idee sono ostacoli, le storie sono ostacoli. Ci sono modi per poterle raccontare.

Dimmi la verità, Negativa è in qualche modo anche una risposta a quella critica che in qualche modo ti ha sempre “rimproverato” di disegnare sempre le stesse cose (ragazze) e le stesse storie?

Anche in questo libro ci sono sempre le stesse ragazze, però fanno una fine diversa.

Sei uno dei fumettisti italiani più importanti, passi dall’autoproduzione a case editrici senza nessun problema, pubblichi libri pazzi, organizzi feste, suoni, canti, insegni fumetto all’Università… uno spirito libero che si diverte, questa è l’idea che ho di te. Chi è Alessandro Baronciani nel 2018 e come percepisce lo stato attuale del fumetto in Italia?

La prima ha una risposta difficile. La seconda è più semplice, mediamente più semplice… Il fumetto è diventato importante, le immagini lo sono diventate. Lo sono sempre state, ma questo crescente interesse di leggerle nei fumetti mi porta a pensare che abbiamo bisogno di capire un po’ di più come funzionano le immagini. Del perché clicchiamo immagini, seguiamo immagini per uscire da aeroporti, scorriamo col dito fotografie dal mondo tutto il giorno. Diciamo che se la lettura ha bisogno di una grammatica per essere comprensibile, le immagini hanno bisogno del fumetto per riuscire a capirci qualcosa. Pensa soltanto all’importanza di una didascalia che ti spinge a guardare l’immagine e a osservare quello che è importante dentro l’immagine.

Se la lettura ha bisogno di una grammatica per essere comprensibile, le immagini hanno bisogno del fumetto per riuscire a capirci qualcosa.

Oggi c’è un’ampia scelta di fumetti e in Italia stiamo raccontando molto bene tutto quello che è contemporaneo. Mi aspetto tantissimo. I giovani riescono a realizzare storie con molta più facilità di quello che ho fatto io nei miei anni Novanta. Mesi passati con la matita, la china, il bianchetto e l’unica fotocopiatrice dal prete in parrocchia, o di quella dei partigiani, durante il servizio civile, che usavo di notte e che riempivo di toner la mattina. Oggi per raggiungere un “definitivo”, un ragazzo in gamba, con una visione, può arrivarci in una settimana con buoni risultati. Aspetto sempre i secondi libri di tutti quelli che mi piacciono, perché come diceva Troisi, il secondo lo sbagli, e invece non lo sbagliano mai!

Per il tuo libro più scuro di sempre dimmi 3 canzoni dark che più hai amato nella tua vita, che ti hanno segnato.

Ho nascosto delle canzoni in mezzo all’intervista. Ma non sono canzoni dark… Quindi te ne metto altre tre qui sotto. Le tre canzoni dark che ho amato dalle superiori sono: Somewhere dei Danse Society, solo perché 40.000 year light from home non era loro – e comunque è più bella la loro versione rispetto a quella originale. In Power we entrust the love advocated dei Dead Can Dance il cui significato del titolo mi sfugge ancora oggi ma che più o meno ad un certo punto canta: la paura mi rende incapace di capire quale sia il corso degli eventi da seguire… come nella canzone degli El Guapo. La terza… ecco adesso me ne vengono in mente almeno altre due… una canzone dei Piano Magic, Certainty, dove una voce femminile, sopra una specie di carillon, racconta che quando guarda dei vecchi film l’unica cosa a cui pensa è che – dato che la vita degli animali è notevolmente più breve degli umani – quel cane sullo schermo adesso è morto, quel gatto è morto, quel cavallo pure… Fragment of fear degli In Camera. Se ci sta un’altra canzone è Alice dei Sister of Mercy nella cassetta regalatami da mio fratello per i miei sedici anni registrata da Stefano Amadori. Chiudiamo così, dicendo quello che direbbe Jacopo, che nei palazzi alti ci sono un sacco di cose da fare e che le ambizioni vanno dirette nel culo di una macchina nera.

Anche in questo libro ci sono sempre le stesse ragazze, però fanno una fine diversa.

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