Wish you were here

In Italia i migliori fumettisti illustrano i più grandi live della storia della musica e dall’altra parte del mondo un concerto con dentro tutti i live della storia della musica prende vita.

Ci hanno portati tutti con un cappuccio in testa e quindi non saprei dire come arrivare al luogo del concerto. Abbiamo dovuto usare i nostri badge quantistici per entrare. Siamo stati tutti schedati. Siamo dentro una specie di hangar. Ho notato subito la presenza di un paio di spillatrici di birra e un camioncino che vende arrosticini. Il palco è immenso, diviso in tre piani rotanti, in modo da far scorrere i gruppi e i cantanti, come in una giostra da belvedere romantico. 

Ci siamo tolti scarpe e calze per permettere al pavimento tritonico di diffondere attraverso le piante dei piedi le sostanze necessarie per godere al 100% degli effetti speciali predisposti dal reparto fumi e raggi laser. Siamo tutti molto eccitati all’idea di essere i primi a poter vedere gli effetti della nuova tecnologia brodo-primordiale sviluppata dal Ministero delle Rane Giganti. Il pubblico è composto da soli addetti ai lavori e l’esperimento è stato promosso grazie alla collaborazione con un gruppo di liberi hacker di Wuhan. Parlo psichicamente con tutti quelli che si trovano nel raggio di un metro e mezzo. Conosco una bella tipa che fa la grafica sul Monte Vettore in una casupola bianca. Sto per chiedergli il numero di badge quantistico quando ecco che i primi gas argon strombettano rosei nell’aria, segnale inequivocabile che il concerto comincerà a millesimi di secondo. 

Come sempre in questi casi, il primo a manifestarsi è David Bowie, esegue alla grande il suo repertorio, facendo subito capire alla platea di miopi scimmiotti platinati chi comanda. Le sigarette al bario blu creano grandi nuvole sociopatiche elettrizzate, segno che gli animi si stanno rapidamente scaldando. La gente attorno a me saliva vistosamente e intravedo alcuni individui sotto il palco che si denudano, coperti già di gel dinamico per trasformarsi in quello che vogliono. Mentre Bowie ha un orgasmo nel finale di Five Years, il secondo palco attacca ad affondare gli speroni negli amplificatori. Se il mio orecchio assoluto non mi inganna sono i Black Flag assieme ad Elio e le Storie Tese, una combo incredibile che avvia subito a scartavetrarsi sulle note di My War eseguita al flauto traverso dal frontman delle Storie Tese. Magnifica esecuzione, un tizio vestito con pantaloni militare ed elmetto accanto a me si mette addirittura a piangere. Io apprezzo applaudendo. Subito dopo ho il timpano leso dall’accelerazione di una Blitzkrieg Bop dei Ramones, che tracimano dal terzo palco mentre ancora Bowie ha le convulsioni giù sotto e i Black Flag e gli Elii si picchiano con delle piante grasse al piano intermedio. 

I Ramones sono bellissimi, plastici nei loro scricchiolanti chiodi dorati e poi alla fine del pezzo scoppiano in una nuvola di pulviscolo rosa che forma una nebulosa velata di malinconia da cui provengono le note iniziali di un tastierone. Riconosco A Forest dei Cure. Tutt’attorno a noi poveri stronzi si manifestano decine e decine di alberi, sottoboschi, muschi, radici, liane e pappagalli, che canticchiano beati come strafatti di collirio all’acetilene Come closer and see / See into the trees. Non so bene in quale fosso precipitino i Cure, ma è bellissimo rendersi conto che già sul palco si affaccia una nuova offerta formativa. Intravedo due tizi con la chitarra in mano: il pappagallo di prima mi dice che sono Jeff Buckley e Bruce Springsteen che subito si seggono ad un tavolino apparecchiato da, mi pare, Ozzy Osbourne in persona, che offre ad entrambi un pipistrello bello caldo che decapita personalmente fornendo ai due eroi del rock la linfa necessaria per completare  a suon di assoli sfrenati e contorti il cruciverba della prima pagina del numero 666 de La Settimana Diabolica. Intanto degli invertebrati portano via Bowie, Ozzy, Jeff, il tavolino e le piante grasse rimaste dopo le esecuzioni precedenti.

C’è un disdicevole attimo di riposo, qualcuno mi indica i Boards of Canada sospesi su di una piattaforma che eseguono una riproduzione del soffitto della Cappella Sistina. Ma torniamo alla musica: c’è Jimi Hendrix che sta suonando una tanica di benzina che implora di essere incendiata con la lingua di fuori, nel mentre il terzo palco rimasto desolato è preda di un’invasione di frati pellegrini che in realtà si rivelano i Clash ed attaccano subito con una sontuosa versione di Straight to Hell che risveglia i sensi di tutti i presenti che iniziano a sottolineare il coro con grande coinvolgimento. Dopo aver verificato l’esecuzione ottimale dei BOC, mi sposto sotto il palco, ma c’è un fungo di Yuggoth che mi impalla la vista e non riconoscono subito il nuovo arrivato, poi un coro s’alza preciso e disperato: Andaiwueiaiwueiaiwuei e, salito sul comodo cappello del mio impallatore, mi godo la performance dei Fugazi, i quali eseguono i loro brani giocando a basket con una squadra composta dal gruppo di Bob Marley, il quale è immerso dentro una poltrona di parameci intento a farsi massaggiare le tempie da un’addetta ai lavori con le dita che finiscono in punta di fragola.

Forse sarà il jet lag oppure il vaccino allo Xanax che ho preso in albergo, ma mi sento un po’ annebbiato, prossimo al discioglimento: faccio giusto in tempo a vedere attorno a me le guglie del Duomo di Milano fuoriuscire dal pavimento e Nico al posto della Madonnina che veglia sull’esecuzione dei Velvet Underground attorniati da un plastico di New York in scala 1 a 25. Svengo e sogno un kaiju che arriva sulla terra e distrugge mezza Tokyo, finché non arrivano i Daft Punk e lo rispediscono sul suo pianeta lontano. Mi sveglio e sono al bar. Accanto a me c’è Nina Simone che mi dà un bacio e mi dice “E’ stato bellissimo”, ma io non ricordo nulla e decido allora di avvicinare il primo farmacista mandato dal CERN di Ginevra a tenere sotto controllo la situazione e prendere una di quelle pasticche che ti fanno tornare la memoria. Egli mi fornisce, solo dopo aver risposto correttamente alla domanda How many roads must a man walk down before you call him a man?. Ora mi ricordo tutto, sono bello carico. Ricordo l’esecuzione di Bob Dylan, dei R.E.M. e dei Radiohead fusi assieme – quante braccia, quante gambe, quante teste pigolanti! – e soprattutto quella di Nina Simone, signora vestita di perle e diamanti che ti fa credere che la luna sia davvero quel posto dove la gente va a ritrovare il senno e non un freddo satellite dove la vita è impossibile e la polvere è immobile da cento mila anni. 

Lascio il bar e prendo una gondola per attraversare la bolgia acquatica di persone. Tutto si è trasformato in virtù della presenza dei Pink Floyd, ripetuti tre volte, ad occupare ognuno dei palchi. Questo gesto sgarbato fa incazzare i Descendents, i quali maciullano i Floyd e gettano ai pesci cani i resti per pasturare la scena. Attratti dal sangue arrivano subito gli Smiths e Morrisey è in splendida forma, devo dire, dato che riesce a cantare mentre mastica un giovane punk, che ha la testa crestata e la coda da girino. Dietro di me sento una mano: De Andrè mi sposta e sale sul palco. Per restituire l’ordine dico io, invece no, solo per aumentare il caos, dato che arriva con lui pure la PFM strafatta di caramelle al rabarbaro e prendono a suonare e la gente inizia a moltiplicarsi come se Dio stesso glielo avesse imposto. 

Ora siamo diventati così tanti che possiamo autoproclamarci micronazione. Vengono eletti presidenti le Bikini Kill, le quali, come primo atto di governo democratico, impongono un marchio a fuoco a tutti i partecipanti con la scritta Rebel Girl. Io me lo faccio apporre sulla fronte. La grossa iguana che ho portato con me mi ricorda che il concerto non è ancora finito e mi fa subito notare un particolare non indifferente: c’è Jurij di Spara Jurij che poga contro le transenne e i CCCP che implorano la sicurezza di lasciarlo fare. La scena mi intenerisce, soprattutto perché un branco di suore urla felicitazioooooni felicitazioooooni felicitazioooooooooo-ooooniiiiiii. 

Sul secondo palco partono le note stordenti dei Nirvana e sul terzo palco avviano i motori i Pearl Jam. I due gruppi si inseguono come Alice inseguiva il Bianconiglio e tutta la micronazione attorno a me non aspetta altro che l’arrivo di Franco Battiato a coronare quel momenti di estasi. Franco arriva, benedice tutti. È molto bravo in questo, ma non suona una sola nota ed invita tutti a fare lo stesso. Convince pure i Beatles a mettersi seduti e a praticare un circle time in cui Ringo confessa di odiare John, John di odiare George, George di odiare Ringo e quello a cui vogliono bene tutti è Paul McCartney. E Paul McCartney si ammazza, perché quella manifestazione d’affetto è troppo per lui, ma non ci crede nessuno che è morto e i quattro se ne vanno ad ordinare 40 arrosticini e 8 birre. Qualcuno ha fermato alla frontiera Beyonce e Jay-Z e quindi non possono esibirsi. Al loro posto l’organizzazione ha chiamato i Queen i quali macinano a dovere, senza far rimpiangere i sostituti. L’ultima ad esibirsi è la GIF di Britney Spears che per un difetto tecnico continua a ripete  ops… ops… ops… ops… su di una singola nota di piano inceppato. 

Malauguratamente l’intero stabile è ora circondato da poliziotti zombie e droni bombardieri pilotati da soldati astronauti. Qualcuno chiede la parola d’ordine per farli entrare: per fortuna solo io la conosco e non la rivelerò a nessuno, nemmeno sotto tortura. Un poliziotto, da dietro una lamiera ondulata, mi offre sua moglie e un fiore di sambuco: io gli dico che la parola d’ordine è WISHYOUWEREHERE. Gli sbirri entrano a frotte e si mettono a ballare, a divertirsi, assieme a noi. Oramai non c’è più gusto a rimanere lì e decido di andarmene. Prendo un carro armato della Croce Rossa e ritorno il albergo. Il concerto è durato 700 anni. Bell’esperienza, la consiglio a tutti.

Il biglietto del concerto al quale hai sempre sognato di andare. Il manifesto della band o della voce che ti ha cambiato la vita, reinterpretato in modo unico da un artista. Il concreto sostegno al club dove hai trascorso ore ad ascoltare la tua musica preferita.  

Tutto questo è WISH YOU WERE HERE, il nuovo progetto ideato da THIS IS NOT A LOVE SONG e dedicato ai live che hanno fatto la storia della Musica, quei concerti ai quali tutti avremmo voluto assistere.

32 biglietti di 32 concerti epocali, che al loro interno racchiudono 32 manifesti esclusivi illustrati da 32 tra i migliori fumettisti italiani. WISH YOU WERE HERE supporta la musica dal vivo. Per questo prende vita e si sviluppa tramite donazioni sulla piattaforma di crowdfunding Produzioni dal basso. A partire dal 24 maggio fino al 30 giugno 2021 i biglietti-manifesti saranno acquistabili tramite crowdfunding e parte del ricavato sarà devoluto in beneficenza a 10 live club dislocati nel territorio nazionale da nord a sud. Qui il link al crowdfunding: https://sostieni.link/28855

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