Gilberto Severini, il migliore amico dei perdenti

Intervistare il settantenne scrittore marchigiano è proprio come leggere i suoi libri: dal nulla arriva una frase che spiazza l’interlocutore-lettore per eleganza, sensibilità, giusta misura, umiltà, cultura e intelligenza. Tutte qualità che lo caratterizzano come uno dei più preziosi autori italiani, ma purtroppo ancor fin troppo “sottovalutato” come già a suo tempo lo definì Pier Vittorio Tondelli.

Di Gilberto Severini ho letto quasi tutto. Me ne innamorai nel 2010 quandò pubblicò il romanzo A cosa servono gli amori infelici (proprio in calce al volume galleggiavano quelle parole dedicategli da Tondelli: “Lo scrittore più sottovalutato d’italia”) e da quel momento ho cercato di recuperare i suoi precedenti lavori ma soprattutto ho atteso ogni sua nuova pubblicazione con crescente impazienza. Vita di provincia, ambiguità sessuale, amori irrealizzabili: queste le coordinate sulle quali la sua poetica si muove più o meno da sempre con un’eleganza di scrittura rara se non unica. Tematiche difficili e fin troppo trascurate che lo scrittore di Osimo riesce invece a mettere nero su bianco raccontando di esistenze che si arrendono alla vita, alla società, alla morale comune… così, senza neanche provare a riscattarsi.

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Non appena Playground ha pubblicato il suo ultimo romanzo Dilettanti nel febbraio 2018 l’ho divorato tutto di un fiato. Un bel po’ di mesi fa, è vero. Ma, nonostante ciò e nonostante tutti gli altri libri che ho letto in seguito, quelle poco più di 120 pagine hanno continuato a ossessionare e cullare i miei pensieri. Sono tornato più volte a sfogliarle in cerca di quelle brevi frasi che come squarci di luce in un cielo plumbeo arrivavano impreviste e poetiche a travolgere ogni mia difesa alle lacrime.

Forse in Dilettanti Gilberto Severini si concentra ancora di più sui perdenti, su coloro che non sono riusciti a realizzarsi mai come persone, con identità sessuali ambigue e amori impossibili o inesistenti.

Perché il protagonista non è uno solo, ma molti di più, ben sei. L’autore si riferisce a ognuno di loro con il “tu”, e ne racconta le esistenze grazie a frammenti di vita raccolti in un arco temporale che va dagli anni 50 ad oggi. Piccoli paragrafi che sembrano fatti di niente, mentre invece sono frutto di un equilibrio narrativo impeccabile. Severini procede per sottrazione, taglia il superfluo e dosa perfettamente l’emotività, quello che rimane è la vita vera che si fa guardare in faccia, negli occhi. E sono sguardi deboli e sofferenti quelli che incontriamo in Dilettanti, che sembrano vergognarsi della loro inevitabile rassegnazione. Capita anche di vederli vitrei e senza più luce, e fanno ancora più male, conduttori di un dolore reso insopportabile dal rimpianto di vite non vissute fino in fondo: “Chissà se nei momenti finali si subisce il penoso assalto delle ipotetiche. Se avessimo detto, se fossimo andati, se quell’estate, se quella sera. Se.”.

Un libro delicato e straziante ma anche molto importante, perché tratta tematiche purtroppo ancora attuali come l’emancipazione sessuale. Ho cercato di parlare di tutto questo con Gilberto Severini.

Dilettanti si basa sul racconto di più esistenze che attraversano un arco temporale ampio: dagli Anni 50 ai giorni nostri. Sulla carta un’operazione che potrebbe sembrare imponente e complessa. E invece… Come è riuscito a condensare tutte queste traiettorie esistenziali in un romanzo così breve, asciutto, poetico e ben congegnato?

Il progetto era raccontare, attraverso lo sguardo di un testimone avanti con gli anni alcune “vite”, di cui non sa tutto, ma conosce frammenti sufficienti per tentare di ricostruirle. Diceva Flaiano: i giorni che contano sono pochi, gli altri fanno volume. Grande lezione, anche di scrittura. Raccontare i momenti essenziali, evitando il superfluo di maniera anche per non cadere nei trabocchetti della retorica e del sentimentalismo, tagliando pagine non necessarie, sino al momento di consegnare il testo e anche dopo, discutendo con l’editore. Supero poche volte le 150 pagine. La brevità è un mio limite? Ma la consapevolezza del limite è fondamentale.

Sessualità, amore e provincia: quanto sono importanti come congegni narrativi per Severini e quanto si alimentano a vicenda? Nel senso, quelle stesse vite raccontate in Dilettanti sarebbero diverse se ambientate in una grande metropoli dove magari avrebbero potuto trovare una realizzazione amorosa? Era davvero così facile 60 anni fa avere esperienze omosessuali nell’età in cui la curiosità si arrovella sul sesso, o anche in questo caso la provincia aiutava in questo senso?

La provincia è il teatro dei miei personaggi perché ci sono nato e mi è familiare. Credo sia un luogo privilegiato per monitorare i cambiamenti del senso comune. Inteso come quell’insieme di convenzioni condivise con cui si giudicano i comportamenti degli altri.

I personaggi di cui mi sono occupato vivono mancanze più sentimentali che sessuali. Sono poveri in amore. Spesso queste esclusioni o autoesclusioni sono determinate proprio dalla loro diversità rispetto ai parametri di giudizio del loro ambiente. In una metropoli avrebbero vissuto meglio? Sarebbe dipeso dalla loro educazione. Dagli incontri. Dalla fortuna, di cui ci si dimentica spesso. Dai valori della loro famiglia. Sarebbe stato più facile evitare il controllo sociale. Avere una doppia vita. Ma di vita sarebbe meglio averne una sola, coerente con le proprie aspirazioni.
In quanto alle disinvolture erotiche degli anni ’50 erano “sostitutive”, dovute anche ad una ferrea divisione dei sessi e con il soccorso dell’immaginazione. C’era chi dell’immaginazione non aveva bisogno perché quella pratica fra compagni di scuola, per lui, non era sostitutiva ma appagante e rivelatrice della propria natura. Da qui, nel deserto dell’educazione sessuale, che si limitava a un ossessivo richiamo alla purezza, potevano avviarsi crisi d’identità e depressioni. L’idea di essere sbagliati o malati.

Si respira fin da subito una resa quasi incondizionata nei personaggi del libro, come se neanche avessero voglia di provarci a realizzarsi o almeno a combattere per se stessi, per essere quello che sono, accettarsi soprattutto. È questo che fa di loro dei “dilettanti”. Ma perché nessuno di loro ci prova mai fino in fondo? Era davvero così difficile amare se stessi in quegli anni di provincia? È come se anche gli anni più “ribelli” – quelli a cavallo ta i Sessanta e i Settanta – non avessero alimentato neanche lontanamente la loro voglia di affermarsi come persone. Si sono accontentati?

Era difficile accettarsi. L’amore poteva essere scambiato per un sentimento diverso e accettabile come la grande amicizia. Sei il mio migliore amico. Era una frase che poteva sottintendere desideri nascosti e molto esigenti. La verità finiva per emergere. Spesso con la consapevolezza di non poter essere ricambiati, e per qualcuno la pena di far soffrire un amico senza poterci far nulla.
Alcuni trasferivano queste energie nell’affermazione nella carriera, altri dissipavano i propri talenti bloccati da quella prima sconfitta.
Sono stato testimone di entrambe queste reazioni, anche se ho scritto dei perdenti e non di quelli che a modo loro hanno compensato la mancanza perseguendo un po’ di potere. Meglio comandare che fottere. Mi è sempre sembrata una delle più sgradevoli massime popolari.

E poi arriviamo ai giorni nostri, alla presunta libertà di “internet”: il porno, le chat dove è più facile riconoscere i propri simili. Ma per quelle vite tutto ciò è forse arrivato troppo tardi?

Se non altro per questioni anagrafiche. Magari ne approfittano maldestramente. Più da spettatori che da protagonisti. O falsificando la propria identità, come uno dei miei personaggi che tenta di reinventarsi in chat la giovinezza che non ha saputo vivere.

Secondo lei se quei personaggi fossero nati verso la fine dei Novanta sarebbe più facile per loro realizzarsi oggi? La società è veramente cambiata?

I personaggi vivono e muoiono nelle pagine del libro. Ma che la società da quegli anni ad oggi sia cambiata è sin troppo evidente. Pensi soltanto a come comunichiamo, all’ubiquità tascabile dello smartphone, al mare di informazione che possiamo navigare. E sono esempi che riguardano la nostra quotidianità. Questa nuova velocità del mondo ha certamente influenzato il nostro modo di gestire le relazioni sociali. E gli affetti e la sessualità hanno certamente risentito di questi mutamenti.

A sentire le recenti dichiarazioni del nuovo Ministro per la famiglia e le disabilità Lorenzo Fontana sembra che il trend politico sia quello di fare passi indietro invece che avanti circa l’emancipazione sessuale. Che ne pensa? E soprattutto, ritiene che movimenti come il Gay Pride possano essere utili verso la battaglia del riconoscimento dei propri diritti e della libertà individuale?

Mi sembra che ogni tanto si ripresentino nella nostra società frammenti di “curva sud” in circolazione con atteggiamenti e comportamenti provocatori e violenti, sia per le nostre strade che nelle aggressioni in rete. Sarebbe bene non sottovalutarli. Difendere i propri diritti resta fondamentale. Ed è giusto che ognuno lo faccia nelle forme che più gli sono congeniali.

Come dovrebbe cambiare la società affinché non ci si senta più “dilettanti” ma persone che riescono a vivere la propria vita in base alle proprie pulsioni sessuali?

Questo glielo dirà il primo tuttologo che avrà occasione di intervistare. Per quanto mi riguarda posso ricordarle una massima, credo di una santa, molto suggestiva: voglio cambiare il mondo? Comincio da me. Mi sarebbe piaciuto praticarla più spesso e meglio.

Che cosa consiglierebbe oggi a un adolescente in preda a quelle stesse turbe che attanagliavano i personaggi del libro negli anni formativi della loro esistenza?

Credo che gli adolescenti non subiscano l’informazione a senso unico famiglia / chiesa / bar dello sport. E credo anche che Famiglia e Chiesa siano molto cambiate. Hanno accesso a una quantità di informazioni e confronti inimmaginabile per la mia generazione. E sono convinto che se la caveranno benissimo. Il solo consiglio è quello valido anche all’epoca della mia adolescenza. Anche qui c’è odore di santità e probabilmente l’interpretazione che ne propongo non è ortodossa: ama e fa quel che vuoi. Il che non vuol dire dare seguito a ogni pulsione, ma a quelle in cui si è certi che interviene un sentimento per evitare ogni atteggiamento che non rispetti l’altro.

Tornando al romanzo, chi è quella voce narrante che si approccia a quei personaggi con quel “tu” amicale, sensibile e poetico? È anche lui un “dilettante”?

È la voce del “narratore”. Un signore che sta invecchiando e come molti anziani parla da solo, evocando ricordi di amici o conoscenti. E parlando prendono forma i suoi fantasmi tra la verità e l’invenzione. Come sempre accade con i ricordi. E come sempre o spesso accade quando si tenta di scrivere un racconto.

Nel romanzo una parte importante è riservata alla morte. Lei ha 77 anni, e come si percepisce anche dal libro avrà dovuto dire addio a un po’ di amici. Che effetto fa vedere persone amate che se ne vanno nella consapevolezza di non aver vissuto fino in fondo la propria vita, i propri sogni e desideri? E lei che rapporto ha con la morte?

Molto difficile dire chi ha vissuto sino in fondo la propria vita. Tutti arriviamo in fondo. E tutti con qualche segreto che forse spiegherebbe meglio il nostro tragitto, ma che non diremo a nessuno e che qualche volta abbiamo dimenticato anche noi.
Il rapporto con la morte è sempre vagamente incredulo. Ma quando s’immagina che la scadenza non sia lontanissima si apprezza il tempo e si cerca di usarlo bene, evitando progetti che non si è certi di avere tempo di realizzare. Evitando anche di pensarci, e dedicandosi alle cose possibili e realizzabili. Forse si sarebbe dovuto vivere sempre così; ma sarebbe stata triste e mediocre una giovinezza saggia.

Chi è oggi Gilberto Severini? E come percepisce questo attuale periodo storico che stiamo attraversando?

Ci sono tre momenti in cui ho avvertito che il mondo attorno a me cambiava. Gli anni Sessanta: con il protagonismo giovanile e il dissolversi degli autoritarismi anche nelle famiglie e nella stessa Chiesa Cattolica.
Gli anni di Mani pulite: con il dissolversi dei partiti tradizionali.
E in questi anni con molte rivoluzioni in corso: quella tecnologica su tutte. Discorso lunghissimo che non sono in grado di fare perché la trasformazione è così rapida e sconvolgente che richiede qualche competenza seria per poterne prevedere gli sviluppi. “Noi non ci saremo”, cantava un gruppo musicale sul finire degli anni Sessanta. Peccato.

Invece sulla sua carriera di scrittore che bilancio può fare?

Ho scritto perché era la cosa che mi piaceva di più. Mi ha aiutato a capire me stesso che è il primo passo per capire un po’ di tutto il resto. Carriera? Non ero e non sono in carriera. Non ho mai fatto nessuna carriera.

Gilberto Severini
Dilettanti
ed. Fandango Playground
126 pp, 14 euro

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