Chi disegna le copertine dei libri? Qualche domanda a Stefano Vittori

Ogni libro ha una copertina. Alcune copertine hanno una storia, in alcuni casi molto interessante. Ma chi si nasconde dietro alle copertine? Chi le fa?
Ho chiesto a Stefano Vittori di raccontarmi qualcosa del suo lavoro. Una chiacchierata più che un’intervista, per capire come ragiona chi fa da mediatore tra il testo e il segno.

Per la gioia dei miei genitori da piccolo smontavo qualsiasi cosa. Vecchi telefoni, utensili di vario genere, meccanismi. La curiosità di capire come funzionano le cose mi ha accompagnato da quando ancora non parlavo. Uscito dal liceo mi sono iscritto a ingegneria. Due anni di studio intensissimo per capire che forse non faceva per me, troppo asettica, incentrata sul risolvere problemi ma lontana dalle persone e dalle loro storie. Intanto lavoravo in uno studio multimediale, un nome per dire che facevamo un po’ di tutto: siti internet, editoria, produzione audio e video. È stata una buona palestra. Così sono ripartito da qualcosa che occupava già buona parte della mia vita, il design.

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Mi sono laureato in disegno industriale alla Sapienza e lì, tra tutti gli oggetti possibili, ho scelto di imparare a disegnare quello per me più speciale: il libro. Ho poi iniziato a collaborare con un giovanissimo Riccardo Falcinelli, che era stato mio professore, e nel giro di qualche anno abbiamo messo in piedi lo studio Falcinelli & Co. nel quale ho trascorso gli ultimi dieci anni progettando copertine e comunicazione per molti editori italiani tra cui Einaudi, Laterza, minimum fax, Carocci editore, Edizioni Sur, Elèuthera, pagina99, Zanichelli.

Ho anche fatto parte della redazione di Progetto Grafico, la rivista internazionale di design pubblicata dall’Aiap – associazione Italiana design della comunicazione visiva -. Nel 2016 ho curato per Elèuthera la nuova edizione di Segno Libero, un manuale di grafica del 1981 scritto da Ferro Piludu, un grafico anarchico, un innovatore famoso al grande pubblico per la sigla di lunedifilm, quella con l’uccello fatto di pellicola cinematografica accompagnato dai gorgheggi di Lucio Dalla e dalla musica degli Stadio.

Da pochi mesi ho concluso la mia avventura con Falcinelli con l’idea di avviare entro un paio d’anni un mio piccolo studio/bottega per esplorare anche altri campi della grafica come la comunicazione per l’enogastronomia e la progettazione di identità visive, ma sempre col cuore nel design editoriale.

Doppia pagina da Segno Libero, Ferro Piludu, Elèuthera 2016.
Doppia pagina da Segno Libero, Ferro Piludu, Elèuthera 2016.

Di cosa si occupa un art director editoriale?

La definizione art director cambia molto da studio a studio. Alcuni si attengono alla gerarchia delle grandi agenzie pubblicitarie, dove l’art director è quello scalino intermedio tra grafico junior e il direttore creativo. Sono studi in cui il lavoro è parcellizzato e spesso si è responsabili di un singolo aspetto della copertina: rapporti con la redazione, ricerca immagini, fotoritocco, impaginazione, titolazione. Invece io mi sento a mio agio in realtà più piccole dove il termine art director spesso si sovrappone a quello di artigiano. La stessa persona è responsabile di intessere rapporti umani con gli editori, di curare gli aspetti tecnici e di trasformare le necessità identitarie e commerciali in un’immagine che susciti il desiderio dei lettori. Riuscite a immaginare un progettista che oltre a ideare grafiche è in parte psicologo, sociologo, iconografo, tipografo, redattore e anche lettore? Quello è un art director editoriale.

Quali sono le fasi preliminari della progettazione di una copertina?

Ogni realtà è diversa per modi e tempi e quelle che sto per raccontare non sono verità assolute ma una raccolta personale di metodi e aneddoti.
Solitamente tutto inizia con una riunione in casa editrice, quando editor, direttori editoriali e di collana presentano i nuovi libri che andranno in copertinario – con tutta probabilità il lettore non coglie che i libri escono con una cadenza ben precisa e che i nuovi titoli non ancora sul mercato vengono raccolti nel copertinario, un piccolo catalogo che contiene tutte le novità che si vogliono portare in libreria in un bimestre, trimestre o nel periodo delle strenne natalizie o estive. Una parte successo del libro è determinata dalla risposta dei librai a queste proposte e in base a questa risposta l’editore decide la tiratura -.

La riunione editoriale è un vero e proprio brainstorming in cui, ascoltando il racconto della trama di un romanzo o dell’argomento di un saggio, l’art director interviene esponendo le suggestioni e le analogie che nota. Può capitare di parlare di cinema, di arte, di fotografia, di moda, di videogiochi, di fumetti. Questo confronto, spesso anche acceso, sgrossa l’ecosistema visivo e culturale in cui nascerà la cover.

Quali sono le fasi operative della creazione di una copertina?

Possiamo dividere le copertine in due grandi categorie, gli one shot, per le quali il progetto grafico cambia per ogni libro,

Alcune copertine “one shot” che ho disegnato per Edizioni Sur nello studio Falcinelli&Co.
Alcune copertine “one shot” che ho disegnato per Edizioni Sur nello studio Falcinelli&Co.

e le collane, il cui progetto editoriale è pensato a monte, costituito da un sistema di regole che consentono di gestire in maniera efficace tutti i titoli e i paratesti in relazione all’immagine scelta. Le collane possono essere dei contenitori molto flessibili adatte a riunire contenuti eterogenei: dal romanzo di cronaca nera, al ricettario di un grande chef, da un chick-lit glitterato, a un saggio su colore e società. Nei libri one shot, invece, la scelta tipografica del titolo, in gergo chiamato lettering, è pensata per legarsi senza soluzione di continuità con l’immagine, e ha la logica di un poster. Pensate al mercato anglosassone in cui i libri considerati entertainment puro, somigliano a piccoli manifesti cinematografici.

Quando parlo del mio lavoro mi viene rivolta la domanda «ma davvero leggi tutti i libri di cui progetti la copertina?». Eccetto casi rari, quel che si legge non è libro intero ma una scheda editoriale redatta dalla casa editrice, una sinossi accompagnata da una selezione di passaggi evocativi o simbolici. Sulla stessa scheda ci sono altri dati di cui il designer deve tenere conto: tiratura, prezzo, numero di pagine e un elenco di titoli simili e vicini di scaffale in modo da creare un’eccezione cromatica: se molti libri simili a quello su cui si sta lavorando hanno una copertina rossa, posso decidere di colorarla in controtendenza per farla spiccare.

Successivamente si sceglie il tipo di immagine che illustrerà la copertina: fotografia stock (scatti economici con licenze royalty-free, cioè libere dal pagamento royalties per ogni tipo di utilizzo), fotografia d’archivio o d’autore (le rights-managed, sottoposte a contratti di utilizzo vincolanti e al versamento di una somma) oppure illustrazione commissionata. In molti casi, nella saggistica ad esempio, la copertina può essere anche aniconica, composta di solo lettering. Una scelta di sobrietà e asciuttezza, ma anche una soluzione pratica alla mancanza di budget per l’acquisto di un’immagine.

Copertina con lettering disegnato ad-hoc. “La rivoluzione russa”, Stephen A. Smith, Carocci Editore, 2017.
Copertina con lettering disegnato ad-hoc. “La rivoluzione russa”, Stephen A. Smith, Carocci Editore, 2017.

Il tempo dedicato alla creatività è inferiore a quel che si può credere. Le giornate del designer editoriale sono occupate dalla definizione del campo da gioco, dalla ricerca del giusto tono e delle immagini più adatte. Per un romanzo d’amore in cui la protagonista deve rispecchiare un carattere introverso, metterò come prerogativa del suo abbigliamento una camicetta con un collo a scialle anziché uno scollo a v, un collo alto o uno jabot. Sembrano solo dettagli ma sono fondamentali per raccontare la storia del personaggio. Nel design editoriale i paletti e i confini si trasformano in azione creativa.

Reazioni dell’editore: capita di dover variare o addirittura ripensare la stessa copertina più volte?

Non c’è una regola precisa. Il numero di proposte varia da progetto a progetto e in base agli accordi iniziali. Nel più felice dei casi si può chiudere la copertina in pochi bozzetti ma per alcuni titoli sono arrivato a realizzare anche settanta varianti prima di raggiungere il risultato definitivo. A volte lavoro sulle varianti cromatiche, altre sul taglio della fotografia o ancora solo sul lettering e ogni variazione racconta una storia leggermente diversa. Per tirare fuori la voce giusta di quel libro, quella che sappia chiamare il pubblico a cui è destinato, c’è bisogno di moltissimo lavoro.

Quando l’editore si rende conto che la sua idea iniziale è un vicolo cieco, il designer editoriale deve avere la prontezza di proporre una o più strade alternative. Per 1971. L’anno d’oro del rock di David Hepworth, pubblicato da edizioni Sur e allegato come extra alla hoppípolla dello scorso febbraio – la richiesta dell’editore prevedeva, come nella cover dell’edizione originale, che fosse inserita una foto con un trio di cantanti rock. Dario Matrone, uno dei direttori della collana nonchè musicofilo, aveva avuto l’idea di scovare un foto con David Bowie, Lou Reed e Iggy Pop – nel libro si raccontava di un loro incontro nel 1971 – che sarebbe stata perfetta. Dopo settimane di ricerca non ero ancora riuscito a trovare lo scatto e tutti quelli che in qualche modo potevano andare erano troppo costosi. Il tempo stringeva ed eravamo a un punto morto. Ho ricominciato a domandarmi «qual è un oggetto metaforico che si potrebbe usare?», «a cosa potrebbe somigliare la copertina?», «quali sono i punti di riferimento per la musica rock?» e con quest’ultima domanda si è accesa la proverbiale lampadina. «Il magazine Rolling Stone! La sua testata… quelle lettere così riconoscibili e iconiche!». Poteva funzionare. Solo lettering. Così ho ridisegnato i numeri con lo stesso stile della testata, il fondo stampato con un inchiostro metallico dorato è venuto da sé. L’idea si è rivelata buona ma il merito va all’editore che ha avuto il coraggio di rinunciare all’immediatezza dell’immagine.

La copertina originale e quella dell’edizione italiana per 1971 di David Hepworth disegnata per Edizioni Sur nello studio Falcinelli&Co. Il lettering del titolo è disegnato a mano. © courtesy of St. Martin's Griffin.
La copertina originale e quella dell’edizione italiana per 1971 di David Hepworth disegnata per Edizioni Sur nello studio Falcinelli&Co. Il lettering del titolo è disegnato a mano. © courtesy of St. Martin’s Griffin.

Reazioni degli autori?

Di solito tra noi grafici e gli autori c’è la redazione a fare da filtro, ma è capitato in più di un’occasione che gli autori scrivessero delle mail per complimentarsi o per criticare anche pesantemente il lavoro, è la normalità. Fortunatamente i giudizi non si riducono quasi mai a «mi piace» o «non mi piace», in genere sono critiche costruttive per migliorare il risultato creativo.

Lavorando sulla saggistica universitaria ci sono capitati commenti molto specifici. Per un saggio di fisica l’autore ci scrisse: «il grado di inclinazione dello spettro di luce emesso dal prisma sarebbe inclinato nella realtà di due gradi in meno, potreste correggerlo?» e ancora, dopo aver acquistato un’immagine che era stata catalogata dall’archivio come uno scatto della prima guerra mondiale ci è stato detto «…è evidente che non si tratta della prima guerra mondiale, il tipo di sabbia non è plausibile con la spiaggia della battaglia… e il cinghietto dello stivale è chiaramente… e il calcio del fucile non è…». Possono sembrare minuzie, ma il pubblico è attento.

Per i romanzi? Lo stesso. Possono arrivare commenti sul personaggio che compare in copertina, è molto facile che l’autore abbia un’idea del protagonista che non combacia con la tua. Bisogna essere sempre pronti a mediare, contrattare, convincere, spiegare e soprattutto a non innamorarsi troppo di un progetto o a combattere troppo per difenderlo. Ogni tanto però arrivano anche mail che aprono il cuore, soprattutto quelle degli autori stranieri che si complimentano per la bellezza e l’efficacia della cover dell’edizione italiana rispetto a quelle già uscite negli altri paesi.

Come ti tieni aggiornato? Dove cerchi ispirazione? Come organizzi il materiale che ti serve per documentare uno stile visivo che vuoi studiare e rielaborare?

L’aggiornamento è frutto della curiosità nei confronti del mondo. Bisogna spaziare tra esperienze estetiche diverse, interessarsi dei vari ambiti della cultura e mescolarli per cercare forme nuove. Una delle cover più intelligenti che ho visto negli ultimi tempi, 007 Vivi e lascia morire di Ian Fleming pubblicato da Adelphi, nasce proprio da un mashup culturale: l’incisione circolare in copertina è un particolare della cover della prima edizione (1954) che nell’edizione Adelphi viene posizionata al centro sul fondo nero, il guerriero medievale viene tinto di un rosso sangue. Cosa ci ricorda? La sequenza cinematografica in cui James Bond, inquadrato dal cerchio della canna di una pistola, a un certo punto si gira di scatto e spara verso lo spettatore. È Adelphi che gioca con i suoi lettori. E chi la coglie, bang, è colpito.

007. Vivi e lascia morire, Ian Fleming, Adelphi 2012. Il fotogramma dello sparo nei film di James Bond © courtesy of EON Prod.
007. Vivi e lascia morire, Ian Fleming, Adelphi 2012.
Il fotogramma dello sparo nei film di James Bond © courtesy of EON Prod.

Sempre più spesso quando inizio un nuovo progetto realizzo un piccolo moodboard, una cartella con immagini, scansioni e schizzi recuperati in giro, che in qualche modo suggeriscono il tono del libro. Fino a qualche anno fa catalogavo le immagini che mi colpivano e che pensavo potessero servire per il mio lavoro, poi ho smesso. Per ogni libro bisogna ricominciare la ricerca da zero, altrimenti il rischio di ripetersi e annoiare è molto alto. Non innamorarsi di un certo stile è fondamentale: da designer siamo chiamati a risolvere delle esigenze, non siamo artisti.

Bisogna anche tenere sott’occhio il lavoro dei colleghi per non rischiare di usare immagini e idee molto simili o addirittura identiche. Stupitevi facendo un giro su copertinedilibri.wordpress.com

Alcune copertine della collana Scala di Rizzoli, disegnate da Mario Dagrada negli anni 60. © Rizzoli, Arch. Mario Dagrada.
Alcune copertine della collana Scala di Rizzoli, disegnate da Mario Dagrada negli anni 60. © Rizzoli, Arch. Mario Dagrada.

E poi è necessario  studiare continuamente, non solo nel periodo della formazione. I maestri e i progetti del passato non sono solo storia della grafica editoriale ma anche un’ottima fonte d’ispirazione.
Sto raccogliendo alcune, ma in realtà sarebbero moltissime, collane editoriali che reputo apici dal punto di vista progettuale: la Scala di Rizzoli disegnata da Mario Dagrada; La Biblioteca di Babele progettata da Franco Maria Ricci e diretta da Borges; alcuni progetti di Anita Klinz per Il Saggiatore. In questo spirito di salvaguardia seguo l’esempio di Federico Novaro, che negli anni ha raccolto e messo in mostra due delle più belle collane della Einaudi: I Coralli (visibili qui), e i Centopagine (con l’aiuto di Marta Occhipinti e Andrea Vendetti, visibili qui).

Credo sia necessario oltre la professione trovare delle attività parallele in cui fare teoria e ricerca perché spesso la routine del lavoro non lascia spazio all’aggiornamento e alla sperimentazione. Da poco ho aperto un profilo Instagram dove mi dedico alla ricerca sulla forma delle lettere e su quei frammenti di realtà estetica che altrimenti andrebbero persi.

Alcune foto dal mio profilo Instagram (https://www.instagram.com/stefano.vittori)
Alcune foto dal mio profilo Instagram (https://www.instagram.com/stefano.vittori)

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