Come il fenomeno “Stranger Things” insegna, gli anni Ottanta sono l’epoca d’oro di Hollywood. “E.T. – L’extra-terrestre”, “I Goonies”, “Ritorno al futuro” e “Blade Runner” sono solo alcuni dei grandi cult che, dall’horror al fantastico, ridefiniscono l’entertainment mondiale. Ma gli anni Ottanta sono anche la decade in cui il cinema indie si impone nell’immaginario collettivo attraverso cinque registi divenuti nel tempo dei maestri della settima arte.
Stranger Than Paradise (1984)
Dopo il debutto dietro la macchina da presa con il mediometraggio “Permanent Vacation”, Jim Jarmusch conquista il premio per il miglior film d’esordio al Festival di Cannes con “Stranger Than Paradise”. Un cult che, tra piani-sequenza, immagini statiche e antieroi prigionieri delle loro stesse vite, introduce e forgia lo stile di opere ben più celebri come “Coffee and Cigarettes”, “Solo gli amanti sopravvivono” e “Paterson”. Un gioiello del cinema indie che, consacrando l’originalità e il minimalismo di Jim Jarmusch, racconta una storia di amicizia attraverso una critica alla società americana lontana dall’universo di luci e colori di Hollywood.
Breakfast Club (1985)
“La donna esplosiva”, “Un biglietto in due” e “Beethoven” sono solo alcune delle brillanti commedie scritte da John Hughes. Un autore leggendario che, tra i suoi tanti capolavori, annovera “Breakfast Club”, gioiello indie interpretato da un cast di giovani promesse capitanato da Emilio Estevez. Un racconto di formazione che, riscrivendo le regole della teen comedy attraverso l’inaspettato sabato di cinque teenager nella biblioteca della loro scuola, diventa un manifesto del cinema anni Ottanta. Un’opera a suo modo imperfetta ma allo stesso tempo unica che, tra dialoghi brillanti e inaspettati momenti musicali, caratterizza le incertezze e le illusioni dell’adolescenza.
She’s Gotta Have It (1986)
Lo stile graffiante e il coraggio autoriale di Spike Lee lo lanciano tra i più grandi autori della settima arte. Dopo una serie di brillanti cortometraggi, l’autore de “La 25° ora” e “Malcom X” debutta dietro la macchina da presa con “She’s Gotta Have It”, cult del 1986 da lui scritto, diretto e interpretato. Presentato al Festival di Cannes (dove conquista la critica internazionale), “She’s Gotta Have It” racconta la storia di una ragazza afroamericana disposta a tutto per vivere una vita priva di restrizioni. Un cult di genere che, custodendo le premesse del cinema di Spike Lee, offre una visione della comunità black lontana dagli stereotipi hollywoodiani.
Velluto blu (1986)
Nel 1986 debutta nelle sale mondiali un film destinato a ridefinire le regole del noir. Scritto e diretto dal maestro del cinema onirico David Lynch e interpretato da un cast stellare composto da Kyle MacLachlan, Dennis Hopper, Isabella Rossellini e Laura Dern, “Velluto blu” racconta, attraverso uno sguardo da incubo, gli orrori della provincia americana. Una versione cupa, dark e allo stesso tempo pervasa da romanticismo e malinconia dei racconti di Lewis Carroll che pone le basi dei capolavori di Lynch delle due decadi successive: da “Cuore selvaggio” e “Mulholland Drive” alla serie iconica “I segreti di Twin Peaks”. Tra le sequenze cult destinate a rimanere impresse nella storia del cinema c’è l’immortale “Blue Velvet” cantata da una seducente Isabella Rossellini.
Sesso, bugie e videotape (1989)
La parola “videotape” costituisce già di per sé un simbolo degli anni Ottanta. Una decade segnata dal debutto di un regista che, in trenta anni, si rivela uno dei più grandi autori della sua generazione.
Nel 1989 Steven Soderbergh scrive e dirige un cult di genere interpretato da un cast stellare composto da James Spader, Andie MacDowell e Peter Gallagher: “Sesso, bugie e videotape”. Un dramma che ottiene una nomination agli Academy Awards nella categoria miglior sceneggiatura originale e conquista il Festival di Cannes del 1989. Una storia ricca di tradimenti, fragili equilibri e riflessioni sui mezzi audiovisivi che trascendono in confessioni dalle conseguenze tragiche e inaspettate.
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