Rock e Letteratura: mettere insieme le due cose

William Burroughs e i Police

Seguendo proprio l’esempio di Lou Reed, anche Liborio Conca ha deciso di unire queste due forme d’arte dando vita a un libro che ha l’aspetto di un saggio, ma si legge come un romanzo: Rock Lit (edito dalla neonata casa editrice Jimenez).

Oltre all’intervista all’autore in calce all’articolo è pubblicato in esclusiva un paragrafo inedito basato proprio su Venus In Furs dei Velvet Underground: una sorta di ghost track di Rock Lit

Il rock, in questo periodo storico, non sembra certo attraversare i suoi giorni migliori, anzi. Il suo stato di salute pare molto sottotono. Le cose migliori, in ambito musicale, arrivano tutte da quell’universo elettronico in continua espansione e contaminazione che nel pop e nell’hip hop trova la sua massima espressione.

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Ma forse è proprio per questo che, oggi più che mai, è facile ma anche piacevole, utile e stimolante voltarsi indietro e guardare il rock in tutto il suo percorso e sviluppo. È tutto lì e quasi completamente storicizzato. E quando sei un critico letterario e ti sei fatto le ossa su una storica rivista – guarda caso – di musica come “Il Mucchio Selvaggio”, è semplice tirare le somme e decidere di “raccontare” il rock analizzando le sue influenze letterarie. Ed è proprio così che a Liborio Conca è venuta l’idea di Rock Lit: oltre 180 pagine ricche di curiosità, scritte con un sentito trasporto narrativo in grado di coinvolgere come un vero e proprio romanzo.

Rock Lit: oltre 180 pagine ricche di curiosità, scritte con un sentito trasporto narrativo in grado di coinvolgere come un vero e proprio romanzo.

Quando racconta di un party newyorkese di metà anni Ottanta in cui si festeggia il compleanno nientemeno che di William Seward Burroughs, Conca è come se fosse lì in carne ed ossa a descrivere l’atmosfera all’interno di quel “bell’edificio in stile neogotico, dai mattoni rossicci”, muovendosi disinvolto ma pieno di ammirazione in mezzo a personaggi come Frank Zappa, Madonna, Lou Reed e Sting. E questo è solo il primo dei tantissimi bozzetti narrativi nei quali l’autore pugliese racconta di come la letteratura abbia contaminato il rock e la vita dei suoi cantori.

William Burroughs e i Police
William S. Burroughs e i Police

Nell’introduzione scrive che “Rock Lit è concepito come un viaggio on the road, con l’autoradio in sottofondo”. È vero, un viaggio che vorremmo non finisse mai, perché a ogni fermata salgono a bordo personaggi del calibro di Rimbaud, Ian Curtis, Kafka, i Belle And Sebastian, Salinger, David Bowie, Kurt Cobain, Albert Camus, i Cure, Lewis Carrol, Leonard Cohen, William Faulkner, Bob Dylan, etc… E non poteva certo mancare Lou Reed (lui è come se non scendesse mai dall’abitacolo): proprio ai Velvet Underground è dedicato il paragrafo inedito che trovate pubblicato in esclusiva alla fine dell’intervista, come fosse una vera e propria ghost track di Rock Lit.

Rock Lit: rock e letteratura. Il tuo libro, già nel titolo, è un sentito atto d’amore verso queste due espressioni artistiche. Ma perché “Rock Lit” e non “Lit Rock”? Solo perché il primo titolo suona meglio? O perché il terreno principale su cui si muove la tua “narrazione” è quello musicale e solo secondariamente arriva la letteratura?

Quando ho iniziato a pensare a questo libro è come se mi fossi trovato davanti a due enormi bacini, due distese piene di musica e parole. Andare in mare aperto non è mai una buona idea, così ho cercato di rintracciare in questi universi – il rock e la letteratura – delle zone a me più confortevoli, almeno per quello che è stato il mio percorso da lettore, ascoltatore e giornalista culturale. Una volta trovati questi luoghi, ho tentato (ed è stato faticoso, ma anche divertente, e a tratti invece doloroso, quando ho rievocato storie di artisti schiacciati dal peso della vita) di muovermi in un modo abbastanza equilibrato tra queste due espressioni artistiche. Non che abbia usato il bilancino, ma ho cercato di far coesistere rock e letteratura senza schiacciare nessuna delle due arti. Poi sì, “Rock Lit” suona meglio.

Come è nata l’idea del libro? E quanto tempo ti ha preso la documentazione e la scrittura, data la mole di lavoro che si evince leggendo Rock Lit?

L’input è arrivato dagli editori, Michela Carpi e Gianluca Testani, che conoscendo il mio percorso hanno pensato di affidarmi questo argomento, da affrontare in chiave saggistica. Dopodiché ci ho rimuginato un po’ di tempo, perché avevo voglia di trovare una formula in cui potessi sentirmi a mio agio. Una volta individuata un’idea di scaletta, anche vaga, ho iniziato a ricercare – a partire da musicisti e scrittori che erano a me noti, chi più chi meno. Ho scoperto cose fiche, leggendo riviste, libri, o pescando sul web con attenzione alle fonti. Tra riflessione, ricerche e scrittura diciamo che ci ho messo un annetto, con punte di rilassamento e altre invece di picco intensivo.

William Burroughs, Kim Gordon (Sonic Youth) e Michael Stipe (REM)
William Burroughs, Kim Gordon (Sonic Youth) e Michael Stipe (REM)

Il libro è pieno zeppo di curiosità e attraversa un arco temporale ampissimo che abbraccia generi musicali più disparati frullando insieme nomi come Leonard Cohen, Nirvana, Cure, Sparklehorse… Immagino che tu abbia dovuto fare un attenta selezione, lasciando fuori un bel po’ di nomi. Con quale criterio hai basato le tue scelte?

È il discorso dei grandi bacini a disposizione e delle zone che ho cercato di isolare: avevo subito in mente che non avrei scritto un’enciclopedia esaustiva e questo mi ha alleggerito il peso di aver lasciato fuori inevitabilmente qualcosa. Riguardo quello che invece ho “frullato”, come dici, faccio un esempio riguardo i Nirvana: Kurt Cobain era un grande ammiratore di William Burroughs, tanto da portarsi appresso una copia del Pasto nudo in tour, o da ispirarsi alla sua scrittura per i testi del gruppo. E come Cobain, anche altri artisti – da Bowie a Michael Stipe dei R.E.M. – hanno un debito verso Burroughs. Ecco quindi che nella “zona Burroughs” ho fatto coesistere questi artisti, raccontando come e perché si sono incontrati nella scrittura e nella loro musica. Per gli Sparklehorse, un altro gruppo che citi, mi sono spostato più a Sud, tra Virginia e Tennessee, dove autori come Flannery O’Connor, William Faulkner e Cormac McCarthy hanno dato vita alla narrativa Southern Gothic, di cui erano profondi ammiratori Mark Linkous, Vic Chesnutt o Nick Cave.

Ho apprezzato tantissimo il trasporto narrativo – più da romanzo che da saggio – che hai utilizzato, in grado di coinvolgere ancor di più nella lettura. È stata una scelta a priori?

Grazie! È stata una scelta, diciamo che fa parte della formula che ho messo a fuoco strada facendo, sicuramente anche per coinvolgere di più nella lettura – o perlomeno per provarci.

Mark Linkous
Mark Linkous

Sempre collegandomi alla prima domanda, la tua scelta è stata quella di analizzare il rock sotto la lente delle influenze letterarie che lo hanno contaminato e ispirato e in qualche modo nobilitato. Ma non potrebbe essere vero anche il contrario? Esiste un’influenza rock nella letteratura? E quanto secondo te potrebbe essere determinante e nobilitante? A volte ho l’impressione che il rock sia considerato una forma d’arte minore rispetto alla letteratura. Che ne pensi?

È l’altro lato della medaglia: quando il rock ha assunto lo status di vera e propria arte – gli ultimi, tardivi dubbi sono stati fugati con il Nobel per la Letteratura a Dylan, cui accenno nel libro – certamente ha preso a influenzare a sua volta altre forme artistiche, dal cinema alla letteratura stessa. Great Jones Street, il terzo romanzo di Don DeLillo, racconta di una rockstar in fuga da tournée, fan e successo. Ma esistono un sacco di romanzi che suonano più o meno rock, o che si sono ispirati a band o cantanti (Norwegian Wood di Murakami, per dirne un altro). Fuori dal rock, il Jack Kerouac dei Sotterranei tentò di riprodurre su pagina il suono delle frasi del bepop jazz. Però ecco questa era un’altra storia, speculare rispetto a quella che ho cercato di raccontare.

Rock e letteratura: se tu dovessi scegliere, quale delle due è la tua forma d’arte che preferisci oppure quella che ti ha travolto prima dell’altra?

La musica arriva prima, perché è un linguaggio primordiale, che riesce a penetrare con più immediatezza. Come si fa a scegliere? Non scelgo. La letteratura è più faticosa, soprattutto certa letteratura, ma sa anche ripagarti alla grande, alla grandissima. Non scegliamo.

Di seguito pubblichiamo un paragrafo inedito che non è entrato nel libro, una sorta di ghost track di Rock Lit, che è quanto mai emblematico. Stando proprio alle parole di Lou Reed sembrerebbe che proprio lui più di tutti gli altri ti abbia “suggerito” di unire rock e letteratura. È così?

Già, Lou Reed, studente di scrittura creativa nella New York degli anni Sessanta, e poi cooptato nella Factory di Andy Warhol con i Velvet Underground, ammiratore profondo di uno scrittore come Delmore Schwartz, che fu uno dei suoi maestri, è uno degli spiriti guida di Rock Lit, aleggiando qua e là nel libro. Questa piccola ghost track è il racconto di Venus in Furs, una delle più belle canzoni dei Velvet Underground.

Different colors made of tears.

Liborio Conca
Liborio Conca

Rock Lit Ghost track
Velvet Underground – Venus In Furs

Nel 1967 i Velvet Underground sono da un anno il gruppo di Andy Warhol e della sua Factory, lo studio che l’artista americano aveva eletto come base per realizzare opere, sperimentare contaminazioni tra generi, e perché no, dare occasionali party a forti tinte lisergiche. A volte succedono delle cose meravigliose e irripetibili, e in quell’edificio al 33 della Union Square West si dà il caso che stessero accadendo lì, in quei momenti. Al nucleo originario dei Velvet Underground, composto dallo studente di Letteratura Lou Reed e dal musicista John Cale, fresco di studi con Leonard Bernstein, si erano aggiunti il chitarrista Sterling Morrison e la percussionista Maureen Tucker. Warhol propone di aggiungere al gruppo la voce di Nico, modella, attrice e da lì a poco cantante tedesca.

Uno dei pezzi forti del gruppo, scritto già nel 1965, si intitolava Venus in Furs, esattamente lo stesso titolo del romanzo di Leopold von Sacher-Masoch, apparso in Austria nel 1870. Il libro racconta della – diciamo – particolare relazione tra il protagonista Severin e una donna ricca e affascinante, Wanda von Dunajew. Per compiacere Wanda, da cui è stregato, e per assecondare una tendenza che condivide con l’autore del romanzo, Severin si sottomette ai piedi della donna, fino a proclamarsi suo schiavo e ricevere una bella sequenza di frustate e umiliazioni. Del resto, il termine sadomasochista, coniato dallo psichiatra tedesco Richard von Krafft-Ebing, deriva proprio da una combinazione tra due estremisti del sesso: il marchese De Sade e il barone von Sacher-Masoch.

Lewis Allan Reed, raffinato studente della Syracuse University – fu allievo dello scrittore Delmore Schwartz, autore di un libro di racconti bellissimo, Nei sogni cominciano le responsabilità, uscito in Italia per Neri Pozza – era decisamente attratto dall’oscurità sprigionata dai bassifondi e da tutto quello che sapeva di torbido, in altre parole dal wild side. (Anche Sterling Morrison aveva studiato lettere, nella stessa università; lasciati i Velvet Underground, divenne professore di Letteratura medievale alla University of Texas di Austin). Quando Lou Reed si ritrovò tra le mani una copia del romanzo di Sacher-Masoch, pensò che era la storia adatta per ottenere una canzone graffiante e completamente diversa rispetto a tutto quello che era apparso fino ad allora.

Be’, aveva ragione. Venus in Furs è tagliente nelle parole e nella musica, con il graffio del violino di John Cale e le rombanti percussioni di Tucker e la chitarra distorta di Morrison. Nel pezzo, il narratore si pone al di fuori della relazione tra Severin e Wanda; la osserva, sia pure con una certa partecipazione, descrivendo i lucidi stivali di cuoio della donna, lo schiocco della frusta, le cinghie e le cinture che attorcigliano l’uomo e la donna nel loro gioco perverso e totalizzante. «Arriva veloce il tuo servo Severin / non lo abbandonare / colpisci, padrona cara, e cura il suo cuore», recita la canzone, mentre il suono si riempie di sfumature sinistre, scivolando in atmosfere cupe, impure.

Venus in Furs è ancora lì a luccicare come gli stivali di Wanda von Dunajew; l’influenza dei Velvet Underground nella musica che sarebbe venuta dopo il loro incredibile debutto è praticamente incalcolabile, avendo contagiato il punk e il rock alternativo, la new wave e il post rock. E poi, soprattutto, per Lou Reed il rock poteva essere letteratura. «Volevo scrivere un romanzo – accidenti, avevo studiato scrittura creativa – e al tempo stesso suonavo in gruppi rock ‘n roll. Quindi ho pensato di mettere insieme le due cose», disse anni dopo, e noi tutti siamo ben lieti che l’abbia fatto.

Trovi Rock Lit cliccando sull’immagine qui sotto:

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