A cosa servono le tante foto che scattiamo e postiamo su Instagram se non a dare un’idea agli altri di noi stessi e di quello che ci piace? Facciate di palazzi, opere d’arte, scorci di città all’alba o al tramonto, dettagli di luoghi si avvicendano nei feed che ogni giorno scorriamo, accompagnate da piccole impressioni in didascalia.
Negli anni Cinquanta, molto prima quindi dell’avvento degli smartphone e delle foto su Instagram, Gio Ponti, uno dei maestri del design italiano, aveva dato vita a un originale flusso visivo di immagini destinato a conoscenti e amici, ma su carta. In un’epoca in cui per avere un’idea di un luogo bisognava recarvisi di persona o al limite affidarsi alle pagine di un’enciclopedia e ai resoconti di un amico, Ponti aveva deciso di raccontare la sua Milano in una sorta di bignami visivo da lasciare agli amici e a chi desiderava una guida e un “ricordo” della città.
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Questa l’idea pratica dietro la pubblicazione di Milano oggi che, nelle intenzioni dell’autore, sarebbe dovuto essere un libro pubblicato ogni anno in versione aggiornata (se ne attestano versioni dal 1957 fino al 1960).
Milano oggi voleva essere uno stato dell’arte della Milano architettonica e culturale di quegli anni, l’ambito più vicino e caro all’ideatore del libro e il motivo per cui il capoluogo lombardo era considerato all’epoca una delle città più d’avanguardia al mondo.
Non è un caso allora che il volume si apra con delle foto di dipinti cubisti di Sironi e Carrà e, nella pagina di fianco, con un quadro del futurista Boccioni seguito da una veduta cittadina di De Pisis. È un incipit che è anche una dichiarazione di intenti: Ponti sceglie innanzitutto tutti artisti delle avanguardie della prima metà del ’900, in linea quindi con l’idea di slancio e modernità che vuole raccontare. Parte poi dalla raffigurazione di un atelier d’artista, con i suoi oggetti, per arrivare alle persone che popolano la Galleria Vittorio Emanuele e le strade del centro di Milano. È la sintesi perfetta di quello che Gio Ponti farà nel suo libro: raccontare la vita e il fermento culturale milanese di quegli anni da una parte attraverso le realizzazioni di artisti e architetti e dall’altra attraverso le persone e i luoghi.
Le due pagine con i quadri in apertura non sono quindi casuali, come nessuna scelta d’altronde è lasciata al caso all’interno del volume. Neanche i cartoncini colorati (un colore diverso per lingua: italiano, inglese, francese, tedesco e spagnolo) che inframezzano le pagine successive, una scelta stilistica tanto precisa quanto moderna nella sua realizzazione che per un attimo ti fa dubitare del fatto che questo libro abbia più di sessant’anni!
A questi cartoncini è affidato il compito di accompagnare quello che sarà l’unico commento testuale del libro, da lì in poi infatti ci saranno solo immagini e brevi didascalie. In questa introduzione, tradotta in più lingue, è Gio Ponti stesso, autore e curatore del libro, a parlare. Racconta dell’idea e dello scopo di mettere assieme un volume del genere, ispirato dai tanti amici e conoscenti stranieri in visita alla città.
“Amo Milano dove è modernamente bella, ardita, nuova” dice Ponti e prosegue citando un articolo su Milano pubblicato sull’Observer e scritto dall’architetto inglese Furneaux Jordan, che secondo lui ha colto in pieno lo spirito della città e dei suoi abitanti. Furneaux Jordan aveva scritto che Milano “non significa maggiordomi e case pompose”, bensì “far cose nuove in modo nuovo, facendole bene come le fecero cinquecento anni fa”. Quest’affermazione racconta bene la bellezza non gridata che contraddistingue da sempre la città e quell’understatement e quella pragmaticità tipici di chi la abita. Una città che – afferma sempre l’autore dell’articolo – può permettersi perfino di avere un chiosco della Coca Cola sul tetto del Duomo senza scivolare nella volgarità.
Dopo questa breve introduzione testuale, si arriva diretti al punto e il libro inizia con un bellissimo flusso di coscienza visivo sulla città, una raccolta di immagini che si dispiega di pagina in pagina come un viaggio che dura fino alla fine del volume. Si parte da alcune foto scattate al mattino sul tetto del Duomo (con tanto di dettaglio della sua ombra proiettata su La Rinascente) e si prosegue con immagini della Galleria Vittorio Emanuele II e de La Scala. Dalla Scala si passa al racconto delle sue scenografie d’artista che, a loro volta, offrono l’occasione per parlare, sempre e solo attraverso immagini, del mondo del teatro a Milano, di Strehler e del Piccolo. Un unico flusso di immagini, che scorre davanti ai nostri occhi, su carta. Arrivano quindi in rassegna i musei di Milano e le sue università, le mostre e le manifestazioni più importanti di quegli anni, come quando Picasso nel 1953 scelse di esporre la sua Guernica nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale, distrutta dai bombardamenti solo dieci anni prima.
E poi a seguire, i cinema, le biblioteche e le gallerie d’arte, che si susseguono fra le pagine e ti viene da chiederti dove siano finiti adesso, come la gloriosa Galleria Apollinaire o la Galleria del Fiore a Brera. Luoghi dell’arte una volta fondamentali, i cui nomi adesso sono persi fra le pagine di cataloghi d’arte d’epoca. Arrivano di conseguenza le foto delle facce (e i nomi) dei personaggi dell’arte e della cultura milanese, ma voltando pagina c’è lo shopping alla Rinascente allora è un susseguirsi di vetrine e negozi a Milano. Molti di questi non esistono più e quelli che invece hanno resistito si sono evoluti in altre forme o hanno almeno cambiato indirizzo.
Pian piano ci si avvicina al Parco Sempione e allora si alternano le foto della torre della RAI e della Torre Branca, queste invece ferme e uguali nel tempo. Si susseguono altre foto di palazzi, strade e architetture, sedi di grandi aziende e opere di architetti famosi, per arrivare infine alla Torre Velasca che, naturalmente, non può che meritarsi una pagina intera! La sede della Triennale offre la scusa per raccontare, sempre attraverso immagini, le mostre e le installazioni delle varie Triennali.
Voltando pagina, arrivano le architetture dei nuovi quartieri, dalla Comasina all’Harar-Dessiè, e le foto delle scuole e delle abitazioni “moderne”.
I nomi degli architetti che accompagnano le immagini sono come i nomi degli autori delle canzoni di Sanremo: “di Ponti, Fornaroli e Rosselli, in via Nievo”, “di Magni e Sirigatti, in via Fara” o “di Salvadè, in via Cerva”. Una gara (non canora) di facciate di palazzi che si fronteggiano fra loro.
Dopo una sezione dedicata alla “futura Milano”, dominata dal Pirellone di allora recentissima costruzione, siamo così arrivati alla fine del libro ma non prima di una doppia pagina con mappa e itinerari suggeriti e una sezione speciale con pagine monografiche dedicate a marchi come Olivetti, La Rinascente e altre aziende più “tecniche” di serramenti o attrezzature elettriche. Le grafiche di questa sezione finale sono così belle e pensate che fino all’ultimo fai fatica a capire se si tratti o meno di pubblicità. Questo viaggio visivo nella Milano anni ’50 è giunto così al termine, ma una cosa è certa: il flusso di bellezza raccontato da Gio Ponti continuerà a diffondersi e propagarsi anche grazie a questa guida che è, allora come adesso, una dichiarazione d’amore per la sua città.
“Perché io amo questa mia città in tutto quanto la vedo partecipare a quell’animoso movimento di civiltà che amo nel mondo e nell’epoca straordinaria nella quale ho la fortuna di vivere”.
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