Il lato “oscuro” dell’arte urbana, tra mostri, paure e macchie nere

L’arte urbana, intesa come qualunque tipo di espressione artistica rappresentata sul muro di una città o di uno spazio urbano periferico o in disuso, da qualche anno ha acquisito una straordinaria visibilità e popolarità. In Italia, al giorno d’oggi, la cosiddetta “street art” è sulla bocca di tutti e viene vista perlopiù come strumento di decoro urbano, con il fine principale di creare “musei a cielo aperto” che diano colore e allegria alle città. Questa tendenza, alimentata da fotografi, giornalisti, appassionati ed esperti del settore o da semplici fruitori, ha avuto come conseguenza una crescita esponenziale di interventi puramente decorativi, di festival di arte pubblica, e di forme di arte di strada facili da comprendere, codificare e accettare. Eppure, oltre alle opere commissionate talvolta prive di forza comunicativa e visiva, alle rappresentazioni di animali colorati e ai ritratti realistici di personaggi famosi, l’Italia è da sempre terreno fertile di un movimento meno noto che va controtendenza e che privilegia tematiche oscure e misteriose, con una netta prevalenza del nero sul colore. Questa categoria di artisti, che comprende nomi di fama internazionale ma anche artisti underground e nuovi talenti emergenti, è spesso attratta dalla desolazione dei luoghi abbandonati, da superfici e supporti naturalmente deteriorati, da stili e tecniche pittoriche più sperimentali, istintive e primordiali, da significati ignoti, profondi o simbolici. Andiamo allora a scoprire una selezione piuttosto eterogenea di artisti e graffiti writer italiani attualmente attivi, che insieme rappresentano sfaccettature diverse del lato più oscuro dell’arte urbana.

108

Probabilmente più di qualsiasi altro artista in Italia 108 ha fatto del “lato oscuro” il suo marchio di fabbrica. Dopo anni trascorsi a dipingere lettere perlopiù in Piemonte, 108 decise di passare all’arte astratta, rappresentando in spazi pubblici grandi e misteriose figure gialle o argento. Ben presto la sua arte, sempre più enigmatica e simbolica, ha abbracciato il colore nero, divenuto da allora una costante di buona parte della sua produzione. Le sue macchie cupe e magnetiche dallo straordinario impatto visivo hanno invaso gli spazi pubblici e i luoghi abbandonati, affascinando, destabilizzando e disorientando l’osservatore. Il rapporto e il contrasto tra ordine e caos sono elementi centrali nel suo lavoro e spesso le sue forme fine a se stesse sono difficile da accettare poiché smuovono qualcosa nel profondo, a livello inconscio. Dopo anni di “total black”, recentemente 108 ha deciso di reintrodurre i colori nelle sue opere, seppur concedendo loro uno spazio limitato. Inoltre, come ha dichiarato più volte l’artista, la preparazione delle sue opere è minima. 108 disegna sempre, ma per i suoi murales in genere prepara una bozza veloce, e del risultato finale apprezza la parte irrazionale, casuale e le eventuali imperfezioni. Allo stesso modo ama dare spazio ai suoi cosìddetti “disegni automatici”, un esercizio artistico su carta e su muro molto simile alla meditazione, grazie al quale da vita a nuove forme oscure.

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James Kalinda

Ex writer, artista di strada, pittore e scultore che vive sull’Appennino reggiano, ha all’attivo una lunga carriera nell’arte urbana e un’intensa attività artistica all’interno di spazi in disuso e luoghi abbandonati. A prescindere dalla location e dalla superficie prescelta, Kalinda ha sempre messo al centro della sue rappresentazioni il lato oscuro e inquietante della natura e dell’uomo. Per anni, infatti, ha indagato sui demoni dell’animo umano e sulle deformazioni e le insidie della natura. Tra i tanti soggetti ritratti nel corso della sua pluriennale produzione, figurano carcasse di animali e personaggi mostruosi, lacerati, deformati, accecati, bruciati, scarnificati, talvolta trafitti da simboliche ossa che fuoriescono dalla pelle o dagli occhi. In questa carrellata di creature e di immagini spaventose, la morte è uno dei temi ricorrenti, nella sua dualità sacra o puramente macabra. Kalinda, da sempre, firma i suoi disegni con un fumetto nero perché, come ha dichiarato lui stesso, nessuno può comprendere il vero significato dei suoi disegni, e forse è lui stesso a non saperlo. Un altro aspetto che per anni ha contraddistinto la sua arte urbana è stato l’utilizzo dei colori nero e fucsia, una scelta voluta per evocare qualcosa di chimico ma anche il sangue e la passione.

DissensoCognitivo

DC è un artista di Ravenna, attivo dal 2012. In questi anni ha alternato progetti artistici, festival e interventi spontanei in strada o in fabbriche abbandonate. La sua arte sperimentale e dallo stile riconoscibile ha attinto a un immaginario in cui l’umano e il non-umano si fondono e in cui la modificazione della realtà e in particolare le alterazioni degli esseri viventi e dell’ambiente sono i temi chiave (“nella scena underground è conosciuto e rispettato come il tizio che dipinge quei robot presi male”). Impossibile restare indifferenti davanti alle sue figure decadenti, mutanti, incomprensibili. Le sue opere, come ha affermato lui stesso, si basano su ricerche anatomiche e speculazioni tecnologiche e si ispirano alla letteratura Science Fiction, ai fumetti e ai film di serie B. Le sue opere sono presenti in varie città italiane e all’estero, non soltanto su muro, ma anche sulle superfici ruvide di billboard e pannelli metallici arrugginiti. In parallelo l’artista ha da poco intrapreso una ricerca astratta, esplorando forme oscure e acuminate in collaborazione con l’artista misterioso Void.

Void

Di questo artista, appunto, si sa ben poco, ma quello che emerge dalla sua produzione artistica la volontà di rappresentare figure e forme più aliene possibile e l’utilizzo quasi esclusivo del nero, a volte abbinato a oro e rame. Le opere di Void, sparse perlopiù tra fabbriche abbandonate e non-luoghi, sono cupe, viscerali, non rappresentativamente mostruose ma mostruosamente popolate di forme. Così l’artista da voce alla sua arte: “Un tentacolo potrebbe voler essere un artiglio e nell’astrazione ha luogo un processo di non-decidibilità della forma che lascia liberi gli organi e i principi evolutivi, senza imporre una specializzazione, un’individualità”. Void, sempre alla ricerca di altre forme di arte oscura e aliena, ha collaborato con diversi artisti nazionali, tra cui Dissenso Cognitivo e Brome, ma anche artisti internazionali. Parallelamente alla pittura e mantenendo sempre una coerente direzione estetica, ama infine esplorare nuovi linguaggi creativi tra cui scultura, video e installazioni.

Brome

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Nasce nel 1990, nella campagna in provincia di Ferrara, e inizia il suo percorso artistico nel 2008. Oltre alla pittura, Brome ama dipingere all’aperto, soprattutto in luoghi abbandonati, nascosti, periferici e desolati, ma di tanto in tanto partecipa anche a jam di graffiti. Nella sua arte predilige il nero e il bianco e cerca di sfruttare al massimo le caratteristiche e le potenzialità dei muri e dei supporti prescelti, facendo in modo che il segno sembri quasi grattato via dalla superficie. Alternando opere di post-graffitismo definite “lettering organico” ad altre più astratte, Brome è molto legato all’espressionismo pittorico e gestuale. Le forme e le figure ingombranti e cupe a cui da vita sono per lui uno strumento per proiettare ansie, malinconie e vuoti, e il segno emotivo tracciato sembra rivolto a una lettura intima e profonda del mondo.

Rezor

Artista-writer di Napoli, ha iniziato a dipingere sui muri nel 2009. Rezor considera i suoi graffiti come un tentativo di presentare la realtà sociale che viviamo, con le sue contraddizioni. Per lui dipingere in strada non è un’azione puramente individualista, ma sente piuttosto che il disegno e le emozioni che è in grado di trasmettere possono essere un veicolo di emozioni per la collettività. Spera inoltre che la riflessione da esso generata possa portarci a conoscere meglio la realtà e possa mettere in campo gli strumenti per trasformarla. Il suo post-graffitismo è ricco di elementi organici piuttosto inquietanti, tra occhi penzolanti, figure giganti scomposte e parti anatomiche che riempiono il muro e che talvolta si intrecciano o danno vita a un originale lettering. Il suo bizzarro immaginario visivo comprende mostri, volti spaventati o sfigurati, elementi simbolici e riferimenti alla follia della società moderna.

Gigante di Ferro

Artista di Gorizia e tatuatore, Gigante di Ferro ha sempre avuto una propensione per il disegno e l’aspirazione di poter dare vita a qualcosa di nuovo, unico e creativo. Nel 2015 ha iniziato a dipingere su muri e pannelli di grandi dimensioni, perlopiù in luoghi abbandonati, avvertendo fin da subito il piacere di esprimersi liberamente, senza condizionamenti esterni. L’artista ama interagire con l’ambiente circostante e con la superficie del muro, sfruttandone crepe, buchi, sporgenze e colori. La sua ricerca artistica, perlopiù astratta, è volutamente enigmatica; la speranza di Gigante di Ferro è che lo spettatore, in base ai colori e alla forme di volta in volta delineate, possa leggervi un significato particolare, “un po’ come quando si guardano le nuvole”. L’artista ama accostare linee e forme precise e definite con colori e riempimenti più grezzi e sporchi, quasi sempre con una predominanza di nero, da lui definita la tinta più suggestiva in assoluto. Il risultato sono opere di grande impatto, a volte simili alle pitture rupestri e dalle tinte scure sempre diverse, in cui si intravedono muffe, batteri e grumi organici e informi.

Osceno

Artista e tatuatore di Conegliano Veneto, una piccola città famosa per il prosecco in provincia di Treviso a un’ora da Venezia, dipinge più o meno dal 2013, ma il progetto “Osceno” nasce un po’ per caso due anni dopo. Un giorno, dopo due frustranti mesi di blocco creativo in cui non riusciva a disegnare (come racconta lui stesso “ero una discarica di carta e bestemmie”), viene portato dagli amici in una fabbrica abbandonata. Qui l’artista avverte qualcosa nello stomaco, come un raptus di rabbia, e quello che ne esce fuori è un segno oscuro e, appunto, osceno. Da allora i posti abbandonati, grezzi e sporchi, sono diventati i suoi luoghi prediletti, quelli che maggiormente lo rilassano e che meglio si combinano con i suoi disegni cupi e astratti; come afferma l’artista “lavorarci è come un giardino zen post nucleare pericolante dannatamente sexy”. Le sue opere, tracciate di getto con spray e rulli, sono il frutto di una gestualità istintiva e a tratti quasi brutale, un segno distintivo che si ritrova anche nei suoi tatuaggi. A macchie, mostri e demoni rappresentati l’artista affianca spesso delle scritte macabre, tristi, scomode, angoscianti e in alcuni casi perfino spaventose e offensive. A volte è la scritta stessa, nera e gocciolante, l’opera rappresentata.

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