Ogni mese Paola e Giorgia leggono un racconto e ne parlano: al telefono, in chat, con vocali whatsapp. Da qui nascono riflessioni e dibattiti. Attraverso il dialogo si suggeriscono nuove osservazioni sul modo in cui gli altri raccontano storie. Quello che segue è un testo uniforme delle loro notifiche letterarie.
Il racconto di questo mese è Manuale per donne delle pulizie.
L’autrice
Lucia Berlin (1936-2004) è stata una scrittrice americana. Ha pubblicato, in vita, quattro raccolte di racconti. Benché apprezzata all’interno di circoli letterari, Berlin, spesso paragonata a Carver per la sua abilità nel racconto breve, ha raggiunto la fama solo dopo la morte, nel 2015, quando è stato pubblicato un compendio dei suoi racconti riuniti sotto il il titolo: A Manual for Cleaning Women. La raccolta è edita in Italia per Bollati Boringhieri con il titolo La donna che scriveva racconti.
Il racconto
Manuale per donne delle pulizie racconta la vita di Maggie May che si divide fra le case in cui lavora e le fermate dell’autobus attraverso cui le raggiunge. La protagonista è una donna sola che cerca di tirare avanti facendo le pulizie nelle abitazioni di persone abbienti. La relazione con le datrici di lavoro non è sempre semplice, nella maggior parte dei casi si tratta di signore tristi e annoiate, ma Maggie è una donna scaltra e sensibile e sa come farsi voler bene da loro. Il testo è disseminato di consigli rivolti solo in apparenza alle donne per le pulizie; in realtà si tratta di regole generali atte a superare la quotidianità nel tentativo di eludere l’amarezza.
Che Maggie May non sia una normale donna delle pulizie è chiaro fin dall’inizio ed è su questo punto che il racconto si tiene in perfetto equilibrio – tutti sembrano sapere che lei è fuori luogo: le sue colleghe, «Molte donne delle pulizie di lungo corso non mi accettano facilmente», così come i suoi datori di lavoro, tanto che il signor Blum, presso cui lavora, le domanda perché ha scelto questa particolare occupazione.
Di certo Maggie è un’osservatrice acuta e sensibile, durante la narrazione arriva a snocciolare i dettagli più intimi delle sue datrici di lavoro, questioni come le amanti dei loro mariti o le loro manie più private, senza mai però scendere nella descrizione puntuale delle loro case. Le stanze di queste signore ricche rimangono luoghi estranei, dove Maggie spesso si muove con indifferenza. Nella maggior parte dei casi si limita a descrivere cosa fa, traendone poi leggi universalmente valide che si trasformano in consigli per tutte le donne che fanno il suo mestiere. L’unica abitazione che sembra meritare una descrizione più accurata è quella dei suoi amici: «Sulle lenzuola sperma e confettura di mirtillo. Nel bagno programmi delle corse dei cavalli e cicche. Bigliettini di Bob per Linda […]. Disegnini di Andrea con tanto amore per mamma. Croste di pizza. Pulisco con Windex lo specchietto che usano per la cocaina».
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È interessante come solo sulla casa di Bob e Linda la protagonista esprima un giudizio: «a dirla tutta è un vero porcile». Se si considera che si fa pagare poco per pulire da cima a fondo l’unica abitazione davvero sporca, non mette in conto né il pranzo, né il costo dei trasporti, il solo motivo plausibile per lavorare da Linda e Bob sono quei minuti in cui si può fermare per fumare e guardare la vecchia casa in cui abitava con Ter, il suo compagno morto di recente, dall’altra parte della strada. Qui è come se indirettamente descrivesse casa sua o ci facesse intuire per analogia qual è il suo stile di vita – sporcizia, disordine, droghe. Lei e Linda, in fondo, sono sia vicine che amiche, si presuppone che appartengano a un contesto sociale simile. Inoltre Maggie ruba antidepressivi, sonniferi e stimolanti, quindi è plausibile che anche lei sia incline all’uso di sostanze. L’incursione in casa di Linda si può leggere come un escamotage per fornire un fac-simile della vita domestica di Maggie che si staglia per opposizione alle dimore in cui lavora.
Nelle case delle sue datrici di lavoro gli oggetti che occupano gli spazi sono indicatori sociali: pianoforti, borse di lamè, trenta bottiglie di vino Lancers. Per una donna come lei, che altrimenti non avrebbe accesso a certi beni, il lusso diventa reale e tangibile. Si può afferrare e si può fingere di esserne in possesso. Quest’accessibilità cambia inevitabilmente la percezione della povertà. Quando si arriva a un livello di tale intimità e vicinanza con oggetti che non appartengono al proprio quotidiano, il ritorno al proprio mondo è una caduta da un punto molto più alto. Anche per questo la casa di Linda e Bob viene descritta come un porcile: il differenziale è molto più evidente se davanti agli occhi si hanno solo oggetti che luccicano.
Il modo in cui Maggie si relaziona alle case è anche come si relaziona alla vita. Con una specie di rassegnazione: va perché ci deve andare, fa quello che deve fare, ma sa che non si fermerà più che quelle poche ore pattuite, non tenta di rendersi il tempo piacevole, ma rimane apatica come è apatica nei confronti della vita senza Ter. Le sue “padrone” sono tutte archetipi di donna in cui si riconosce anche lei: sole, con una dipendenza, senza un motivo reale per vivere. E provano un meschino piacere nel trattare Maggie come un animale domestico a cui dare ordini: «La voce delle signore si alza sempre di due ottave quando parlano con le donne delle pulizie o con i gatti». Le donne americane «non si sentono a loro agio all’idea di una domestica», questa affermazione mette in luce i rapporti di potere che si giocano su tranelli come lasciare qualche spicciolo nel posacenere per testare l’affidabilità di qualcuno che ti mette le mani nella biancheria intima. Ma quella con cui ci confrontiamo è una donna delle pulizie diversa. È scaltra, è talmente scaltra da sussurrarci fra parentesi i trucchetti che usa per far vedere alle padrone di casa che pulisce a fondo: «Fate capire che siete coscienziose: il primo giorno rimettere i mobili a posto nel modo sbagliato…spostati di dieci o quindici centimetri, o girati dalla parte sbagliata».
Alle scene della vita lavorativa di Maggie si alternano informazioni sul suo stato d’animo e sulla sua sua storia d’amore. A tratti compare un personaggio che rimane solo abbozzato nei ricordi e nelle considerazioni della protagonista: Ter. La narrazione, che spesso somiglia a un rendiconto di quello che la protagonista vede nei suoi spostamenti per andare al lavoro intarsiato di riflessioni, si arricchisce di un altro piano temporale, evocato tramite i ricordi, in cui si evincono spaccati della sua vita oltre all’impiego: non solo la storia d’amore, ma anche tutta una serie di informazioni più specifiche.
Alla stessa maniera, procedendo per analogie e suggestioni ma rifiutando la categoricità, l’autrice ci suggerisce la causa della morte del compagno. Lo fa prima descrivendo la scatola di fiammiferi con stampato un numero di prevenzione suicidi che uno sconosciuto porge alla protagonista, poi raccontando del rifiuto a identificare il cadavere, adducendo come motivo il fatto che fosse arrabbiata con Ter per essere morto. A ogni modo, sembra che la morte del compagno sia una profezia che si autoavvera.
Maggie e Ter avevano fatto un patto: se le cose non si fossero sistemate entro il 1976 si sarebbero sparati in fondo a un molo. Forse per scherzo Ter aveva detto di non fidarsi di lei, credeva si sarebbe sparata per prima o che avrebbe ucciso lui e poi sarebbe scappata via. La morte improvvisa di Ter in circostanze che dal racconto non sono esplicite ci fa pensare che si sia suicidato senza avvisare Maggie, lasciandola sola a combattere una vita difficile. Anche se arrabbiata, la protagonista resta e va avanti, benché di motivi per sparire ne avrebbe molti. Non sappiamo fino a quando ha intenzione di rimanere però, Maggie sottrae sonniferi alle sue signore ogni volta che può – sembra che il piano finale sia raggiungere Ter, solo non subito.
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